Milano, 3 agosto 2014 - 12:04

Nardella: contro i no meglio le urne

«Renzi lavora su una nuova classe di dirigenti al governo e nei ministeri. Il caso Cottarelli? I tecnici devono eseguire, le scelte sono politiche»

di Al do Cazzullo

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Dario Nardella, lei ha preso il posto di Renzi come sindaco di Firenze. Ma il renzismo oggi appare impantanato. Mentre il Senato da mesi discute di se stesso, l’economia è ferma. Cos’è successo?
«È successo che l’arrivo dei “barbari”, come siamo considerati dall’establishment e dalla vecchia classe politica, ha suscitato una reazione durissima e trasversale, che raggruppa partiti, economia, sindacati nella difesa del vecchio sistema. È un’Italia malata di accidia, che si macchia del peccato peggiore: l’avversione a operare. Un’Italia che giudica con insofferenza tutto ciò che spinge al cambiamento. La vicenda del Senato è emblematica».
Vista la crisi drammatica del Paese, non era meglio cominciare con l’economia, anziché con una prova di forza sulle riforme istituzionali?
«È vero che con il Senato non si mangia. Ma il bicameralismo causa gravi danni. Un provvedimento impiega 300 giorni a essere approvato in prima lettura; nel frattempo sono fallite centinaia di migliaia di aziende. La riforma del Senato è una condizione necessaria per recuperare la fiducia dei cittadini nella politica. Proprio per questo le ultime sedute, viste da fuori, sono imbarazzanti. I senatori sembrano marziani, lontani anni luce dalla vita reale. Ogni seduta è una pugnalata alla credibilità delle istituzioni».
Non sono soltanto le opposizioni ad accusarvi di fretta eccessiva e di autoritarismo.
«Fretta? Sono decenni che si discute. Anche la sinistra ha sbagliato quando contrastò in modo ideologico la riforma costituzionale del 2005».
Quella che aumentava i poteri del premier?
«E riduceva il numero dei parlamentari. Renzi ha fatto bene a cercare il più ampio consenso possibile sulle riforme. Ma le opposizioni sinora non hanno dimostrato di perseguire davvero il bene comune: altrimenti avrebbero presentato 10 o 20 emendamenti incisivi e per loro importanti, non ottomila. L’imboscata con il voto segreto è stata un avvertimento, un dispetto che peggiora la riforma, mantenendo al Senato competenze che non c’entrano nulla con la Camera delle autonomie. Spero ancora che la situazione si sblocchi. Anche sulla legge elettorale».
Credere di cambiare la Costituzione in poche settimane era un’illusione, non pensa?
«Come sindaco mi fa rabbia vedere una classe politica così ripiegata su se stessa, che attacca le riforme con argomenti assurdi. Mai come ora, il meglio è nemico del bene. A forza di cercare la riforma perfetta, si continua a rinviare. Questo è il momento di tirare le somme. Invece c’è tutta una parte del Paese, dai 5 Stelle a Sel ad altri mondi fuori dalla politica, convinta che debba trionfare Sisifo. Vorrebbero vedere Renzi e il governo trascinare ogni volta un masso sulla cima del monte, per poi farlo precipitare verso il basso e ricominciare da capo».
Quindi come se ne esce? Con le elezioni anticipate?
«Di fronte all’accidia di forze politiche che sanno dire solo no, tanto varrebbe fare la nuova legge elettorale e andare al voto. Il pantano del Senato fa male a tutti, e mina la nostra credibilità anche a livello internazionale. Resto convinto che si debba tentare sino alla fine di andare avanti con questo Parlamento e affrontare le riforme del lavoro e della pubblica amministrazione. Una verifica politica l’abbiamo avuta, anche se qualcuno vorrebbe dimenticarla: il 40,8% di appena due mesi fa. L’atteggiamento di chi contrasta l’esigenza di superare il bicameralismo offende la maggioranza degli italiani».
Ma si votava per il Parlamento europeo.
«Voto o non voto, comunque ci vuole una svolta. Bisogna sbloccare questa situazione. Così non si può procedere. Anche perché ci rimette tutta l’Italia».
Che effetto le hanno fatto le critiche di Diego Della Valle al premier?
«Sono rimasto sorpreso. Ho grande stima sia di Renzi sia di Della Valle. I loro rapporti sono sempre stati molto buoni. Sono sicuro che sia un’incomprensione superabile».
Della Valle ha posto anche la questione della squadra di governo. Dice che ci vorrebbero «molti Padoan». Uomini di maggior esperienza. Lei che ne dice?
«Matteo ha detto che quest’estate si concentrerà proprio sul rafforzamento della squadra, dal punto di vista sia tecnico sia politico. Le riforme ambiziose che Renzi vuole portare in fondo hanno bisogno di persone competenti e credibili. Oltre al leader, la cui bravura non è in discussione, molto dipenderà dal suo entourage. Sarà un passaggio decisivo».
Cambierà qualche ministro?
«Secondo me, i ministri lavorano bene. Fossi in lui cambierei quello che c’è sotto i ministri. Partirei dal rivedere l’assetto tecnico; anche perché è proprio tra i tecnici e nelle burocrazie che si annidano le maggiori resistenze. Renzi è andato a toccare punti sensibili: la battaglia sugli stipendi dei dirigenti pubblici, la riforma della pubblica amministrazione, i permessi sindacali, i tagli alla Rai. Tutte cose che sino a qualche mese fa erano tabù. Ora sono usciti allo scoperto non voglio dire i privilegi, ma uno status quo che nessuno aveva osato mettere in discussione. Sarebbe ingenuo pensare che non ci siano contraccolpi. Accanto a una classe politica nuova, occorre una nuova classe di dirigenti: a Palazzo Chigi, nei ministeri, nelle organizzazioni di rappresentanza sociale ed economica, nel privato».
Nel frattempo perdete Cottarelli. Che denuncia: i tagli sono già stati vanificati da nuove spese.
«A me pareva che si riferisse soprattutto al Parlamento. In ogni caso, Cottarelli non può fare la foglia di fico di una classe politica che non sa decidere. Condivido le parole del premier: le scelte di spending review sono scelte politiche; i politici che si nascondono dietro i supercommissari non sono convincenti. Da sindaco, dovendo tagliare la spesa e migliorare i servizi, non mi sono rivolto ai tecnici. I tecnici devono eseguire. Su stipendi, abolizione delle Province, costo del lavoro, pensioni decide la politica».
Si riferisce al taglio delle pensioni più alte?
«Immagino che l’esecutivo ci lavorerà dopo l’estate, insieme al Jobs Act».
Servirà anche una manovra correttiva?
«Non sono in grado di dirlo. Dipenderà da quello che ci dirà il governo, dai dati che arriveranno dopo l’estate. Da Firenze, città metropolitana che vale 31 miliardi di Pil, posso dirle quel che ci chiedono le aziende: infrastrutture e ripresa dei consumi».
Che languono.
«Debba arrivare o no una manovra, resto convinto che occorra proseguire sulla strada intrapresa con lo sblocca-Italia, per far ripartire le opere pubbliche, e con gli 80 euro, per spingere sui consumi».
La «svolta» che lei chiede significa anche allargare la maggioranza di governo a Berlusconi?
«Non mi pare un’ipotesi all’ordine del giorno. Diverso è il discorso sulla riforma del Senato e sulla legge elettorale. Sarebbe opportuno rivedere il patto del Nazareno su alcuni punti, ad esempio le preferenze. Con una sola Camera elettiva, è ancora più importante che i parlamentari siano rappresentativi del territorio e vengano scelti con il voto dei cittadini. Il modello dei Comuni resta un buon esempio».

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