Le idee sono come i bambini. Non basta averli, bisogna anche farli crescere, ricorda il fumettista e scrittore francese Daniel Picouly. E l’Italia, che per natura e storia è il Paese della creatività, è ricca di buoni semi da coltivare. Altrimenti detto: di progetti promettenti da finanziare ed accelerare, per usare il «gergo start up». Dal benessere della persona a quello degli anziani, passando per alimentazione, cura della casa e viaggi: sono tanti gli ambiti dove i nostri talenti, a maggioranza under 35, hanno dato vita a iniziative che aspirano a migliorarci e semplificarci la vita.
I dati parlano di oltre 6.750 start up innovative presenti in apposito registro a fine 2016, un aumento del 30% rispetto al 2015. A queste si aggiungono circa altre 3.000 start up non registrate, per un fatturato totale intorno ai 600 milioni di euro e 10.000 addetti. Se guardiamo però agli investimenti effettuati per foraggiarle e trasformare questi pulcini in galli da combattimento, la distanza con gli altri Paesi è netta. «Il mercato italiano è ancora embrionale, mancano fondi importanti dedicati in maniera concreta e costante alle start up, anche se qualcosa si sta muovendo nella direzione giusta», spiega Massimiliano La Rocca, coordinatore dell’Osservatorio Start Up di Confimprese.
Lo scorso anno gli investimenti venture capital in Italia sono stati di 180 milioni di euro. In Germania, tanto per dirne una, si parla di 2 miliardi di euro. A fare la parte del leone in tutto questo processo di sviluppo sono i programmi di incubazione e accelerazione, che selezionano le start up distintive per aiutarle a crescere con risorse e servizi specifici.
F-Lane, ad esempio, è un programma dedicato all’emancipazione femminile promosso dal Vodafone Institute for Society and Communications, in collaborazione con Impact Hub Berlin e Social Entrepreneurship Akademie. I progetti internazionali scelti ogni anno hanno tutti l’obiettivo di migliorare la vita delle donne attraverso la tecnologia.
I criteri che rendono un progetto appetibile per un programma di accelerazione? Come evidenzia La Rocca sono principalmente tre: l’affiatamento del team di lavoro e le sue competenze, la scalabilità del modello di business (ovvero quante volte è replicabile e dunque profittevole) e l’unicità dell’idea, che non deve essere facile da attaccare o da copiare. Nel nostro Paese di incubatori e acceleratori ne abbiamo circa un centinaio e tra i più importanti ci sono Digital Magics, H-Farm e Luiss Enlabs. Sfogliate la gallery per scoprire i progetti più interessanti (tra questi, Biorfarm: nella foto sopra, l'ideatore).