IBM Think Milano: l’intelligenza artificiale aiuta nell’automazione dei processi di business

IBM Think Milano, una tavola rotonda per parlare dell’applicazione dell’intelligenza artificiale all’automazione di processo. Per IBM una necessità, soprattutto per processi ripetitivi e ad alto livello di errore

Pubblicato il 19 Giu 2018

IBM Think Milano (credit: Maurizio Decollanz, Head of Communications in IBM Italia, ha postato questa foto sul suo profilo Twitter)

IBM Think Milano, una tavola rotonda per parlare dell’applicazione dell’intelligenza artificiale all’automazione di processo. Per IBM una necessità, soprattutto per processi ripetitivi e ad alto livello di errore

All’IBM Think Milano, l’evento organizzato da IBM per parlare di innovazione e di digital transformation insieme a imprese, istituzioni e cittadini, non poteva mancare l’intelligenza artificiale tra i temi al centro del dibattito.

In realtà, di intelligenza artificiale e di cognitive computing si è parlato di fatto ogni giorno.
Ma nel corso della tavola rotonda moderata da Mauro Bellini, direttore di BigData4Innovation, se ne è data una chiave di lettura molto particolare, come ben si evince dal titolo: “Robotica e Intelligenza Artificiale, un nuovo binomio per l’automazione dei processi”.

Obiettivo dell’incontro all’IBM Think, dunque, comprendere come le aziende stanno adottando metodologie di machine learning, automazione di processi e “robotica”, elaborazione del linguaggio naturale e analisi per espandere le capacità e l’efficacia di ‘knowledge worker’ in tutti i settori.

Il punto sull’intelligenza artificiale all’IBM Think di Milano

Per poter affrontare correttamente il tema, in apertura dei lavori Maurizio Ragusa, Software Sales Director di Ibm Italia ha cercato si sgombrare il campo dagli equivoci: «Bisogna fare giustizia sull’immaginario e sugli aspetti fantascientifici legati all’intelligenza artificiale. Soprattutto bisogna tener ben presente che intelligenza artificiale, machine learning, deep learning, anche se spesso usati senza particolare distinzione, in realtà indicano concetti molto diversi tra loro».

Si tratta senza dubbio di un tema di tendenza, che deve ancora fare i conti con una serie di limiti che frenano l’adozione su larga scala. Fortunatamente si tratta prevalentemente di limiti economici e di qualche riserva sui temi della sicurezza: sono poche le realtà che ancora non capiscono come l’intelligenza artificiale possa inserirsi nei loro processi di business. E se di costi e di sicurezza si tratta, allora parliamo di limiti più facilmente superabili, soprattutto se davvero prenderà il via un processo di democratizzazione dell’intelligenza artificiale, che ne renda possibile l’accesso anche alle realtà di più piccole dimensioni e con minori disponibilità di spesa.

Il ritardo dell’Italia sull’Intelligenza Artificiale

Purtroppo, è emerso nel corso dell’IBM Think di Milano, come  spesso accade quando si parla di innovazione e tecnologia, anche in questo caso c’è un ritardo del sistema paese: altri paesi nell’Unione Europea stanno stanziando fondi considerevoli sui temi dell’intelligenza artificiale. Per questo non poteva mancare un invito al nuovo Governo perché non si tiri indietro.

Il ruolo di IBM

IBM, intanto, non sta ferma. La società, come racconta sempre Ragusa, «ha identificato 16 use case, ripartiti in tre orizzonti applicativi: trasformazione dell’ingaggio sul cliente, miglioramento delle operation, potenziamento dei dipendenti».

L’AI nell’automazione di processo

Ma, al di là delle visioni generali sul mercato, la tavola rotonda all’IBM Think di Milano aveva come obiettivo definire se e come l’intelligenza artificiale possa essere di supporto nella ridefinizione dei processi aziendali.
E qui entra in campo Maria Cristina Ferri, Cognitive Process Rengineering Service Line Leader di IBM che subito sgombra il campo dagli equivoci: «C’è bisogno della Robotic Process Automation, perché con l’automazione è possibile spostare l’attenzione verso le attività a maggiore valore aggiunto».
I benefici sono misurabili: si parla di riduzione di tempi e costi, di distogliere risorse da attività ripetitive e a basso valore. Che non sono poche: «Quattro processi strutturati su 5 possono essere automatizzati». Il tutto con altrettanto evidenti guadagni in termini di flessibilità, scalabilità , riduzione degli errori.

In base alla tipologia dei dati utilizzati si possano distinguere diversi stadi di automazione di processo:

  • Desktop Automation e Robotic Process Automation, basate sulle funzionalità classiche di robotica,
  • Autonomic Automation, nella quale già si inseriscono elementi di flessibiltà di processo e dei dati,
  • Cognitive Automation.

«L’evoluzione massima arriva quando si parla di cognitive automation, con l’innesto dell’intelligenza artificiale, con l’analisi semantica del testo ed elementi conversazionali», dice Maria Cristina Ferri.

Quali processi hanno bisogno di automazione?

Va detto che l’automazione non è un vestito per tutte le stagioni. Ci sono processi che meglio di altri si candidano all’automazione. «In genere si fa riferimento a processi ripetitivi, che coinvolgono un elevato numero di persone, standardizzati e ben strutturati. Sono candidabili processi che hanno alti livelli di difettosità, che mostrano fluttuazioni nei volumi, ad esempio in base alla stagionalità e, soprattutto, sono alimentati da sistemi di dati», è la risposta di Ferri.

L’automazione di processo, però, non si improvvisa.
«Non si può fare automazione senza analizzare e rappresentare: serve un percorso graduale per essere davvero consapevoli dei vantaggi e dei benefici che ne derivano».

E alla fine la risposta si chiama CoE, vale a dire Center of Excellence, una entità organizzativa o funzionale in grado di governare e controllare il programma di robotica aziendale, vale a dire i processi che vengono automatizzati.

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