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«Big data e reti intelligenti così cresce Amga-Hera»

Il manager utility dell’anno Venier spiega il futuro delle aziende di gas, acqua e rifiuti «Lavoriamo con i centri di ricerca, insieme sviluppiamo soluzioni assenti dal mercato»

di Giacomina Pellizzari
2 minuti di lettura

È udinese, abita a Moruzzo, ha 54 anni e una laurea in Scienze matematiche e fisiche con indirizzo informatico. Stefano Venier, l’amministratore delegato del gruppo Hera e consigliere d’amministrazione di Acegas-Aps-Amga, è il manager utility dell’anno nella sezione Servizi pubblici locali. È un innovatore. Il riconoscimento gli è stato assegnato dalla rivista Mui “Management delle utilities e delle infrastrutture”, fondata e diretta da Andrea Gilardoni, docente dell’università Bocconi. Ma da buon friulano, il super manager non ama i megafoni e insiste a dire che il premio «è stato assegnato all’azienda e al suo team, io ho solo cercato di dare gambe e di sostenere un percorso».

Si aspettava questo premio?

«Uno non lavora per il premio: l’innovazione richiede il contributo di tutti».

Cosa si prova a essere manager utility dell’anno?

«Soddisfazione, è il riconoscimento di un percorso iniziato tanto tempo fa».

Quando?

«Almeno sette, otto anni fa. È stato premiato il contributo di innovazione 4.0 dato dall’azienda che crede nelle reti sensibili. Si tratta di un percorso che, grazie agli sviluppi tecnologici, ha subito accelerazioni inimmaginabili».

Nel concreto di cosa stiamo parlando?

«Innovazione vuol dire portare la digitalizzazione all’interno delle reti e dei servizi. Le reti trasmettono segnali che ci consentono di capire come funzionano i servizi. Gestiamo infrastrutture che hanno anche 40 anni e che non si possono rifare. Vanno rigenerate, va allungata la loro vita, vanno fatte funzionare meglio per garantire all’utenza continuità e sicurezza».

L’installazione dei contatori elettronici del gas va in questa direzione?

«Certamente. I contatori elettronici che stiamo installando in città, ci consentono di sapere quanto gas affluisce in ogni casa e ci danno la possibilità di bilanciare la rete e di ottimizzare le risorse riducendo gli sprechi, le perdite e ottimizzando la pressione e i costi. Ai sensori e alle sonde va aggiunta la capacità di elaborare e interpretare i modelli di big data per tirar fuori ricette e gestire al meglio questi asset».

Un altro esempio?

«Nella gestione dei rifiuti, un sensore ci segnala qual è il cassonetto pieno al 70 per cento che dobbiamo svuotare. E se arriviamo davanti a un cassonetto pieno a metà ci dà l’imput per proseguire senza fermarci».

Proviamo a quantificare gli investimenti?

«L’installazione nel nord Itlaia di 1,7 milioni di contatori intelligenti, ci costerà 200 milioni di euro. In questo tipo di tecnologie l’investimento va da 70 a 100 milioni di euro».

A cosa è finalizzata l’innovazione?

«A risolvere i problemi per l’azienda e i clienti. Queste soluzioni servono a raggiungere obiettivi di sostenibilità: a ridurre lo spreco d’acqua o a ottimizzare il recupero dei rifiuti. È stata premiata questa visione.

Puntate molto sulla ricerca?

«Da utilizzatori dell’innovazione, noi facciamo sviluppo. Prendiamo le soluzioni che troviamo sul mercato e le adattiamo al nostro sistema. Non facciamo ricerca di base».

Arriverete a utilizzare i robot?

«Robotizziamo già i processi di gestione»

Qual è la sfida?

«Introdurre la cultura dell’innovazione in azienda. Mettere in mano un computer palmare a un operatore che va sul campo richiede di fare un salto qualitativo importante. Riusciamo a fargli scattare curiosità e passione».

Come rispondono le università alle vostre esigenze formative?

«Sulle tematiche dei big data e dei modelli di intelligenza artificiale facciamo fatica a trovare persone preparate. Lavoriamo molto con i centri di ricerca e i giovani delle start-up. Siamo noi a diventare interessanti per loro, insieme sviluppiamo soluzioni che non ci sono sul mercato».

Ma lei quante ore lavora al giorno?

«Vivendo da solo a Bologna non mi resta molto da fare oltre al lavoro. Mi sciroppo 60 mila chilometri all’anno per tornare a casa, in Friuli, tutte le settimane».

È una scelta di vita?

«Sono nato in Friuli, ho vissuto 20 anni a Milano e quando ho dovuto decidere dove far crescere i miei figli ho preferito riportarli in Friuli. Sono convinto che la qualità della vita delle province italiane sia un valore. E considerato che la tecnologia ha accorciato enormemente le distanze, ho accettato di far parte del Consiglio di amministrazione del Mib di Trieste».

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