16 Apr 2014

Algeria 2014: la stabilità interna passa per le politiche regionali

Al centro di un’area strategica attraversata da conflitti, crisi endemiche e attività terroristiche, l’Algeria si avvicina all’appuntamento elettorale tra numerose incognite dettate da fattori endogeni – tra cui il serpeggiante malessere sociale e le ripetute proteste delle minoranze berbere – ed esogeni che lo rendono una sorta di eccezione rispetto al delicato panorama del Nord […]


Al centro di un’area strategica attraversata da conflitti, crisi endemiche e attività terroristiche, l’Algeria si avvicina all’appuntamento elettorale tra numerose incognite dettate da fattori endogeni – tra cui il serpeggiante malessere sociale e le ripetute proteste delle minoranze berbere – ed esogeni che lo rendono una sorta di eccezione rispetto al delicato panorama del Nord Africa e del Sahel.

Colpito solo marginalmente dalle rivolte arabe del 2011, il paese ha reagito con apparente distacco al possibile contagio rivoluzionario adottando una strategia di neutralità e di non interferenza negli sviluppi interni di Libia, Tunisia ed Egitto. Se tale politica ha rappresentato nell’immediato un limite alle opzioni politiche e strategiche di Algeri per affrontare e stabilizzare le tensioni nel suo “cortile di casa”, proprio le sfide rappresentate dalle difficili transizioni negli stati vicini hanno costituito un’occasione per riconsiderare il suo approccio di politica estera. Approfittando delle rapide evoluzioni politiche nell’area e della relativa unicità nel contesto regionale, l’Algeria ha provato ad accrescere la propria influenza nel Maghreb e nel Sahel, anche con l’obiettivo di porsi come garante nel quadro della sicurezza. Se tale percorso è stato più facile da intraprendere con la Tunisia, con la quale è stato avviato nel corso del 2013 un dialogo di cooperazione politica e di sicurezza – anche al fine di indirizzare la transizione tunisina dopo i ripetuti incidenti di confine nei Monti Chaambi –, gli eventi in corso in Libia e in Egitto continuano invece a impedire la piena realizzazione della strategia regionale algerina. Da un lato il golpe ai danni di Mohammed Morsi e la repressione dei Fratelli musulmani in Egitto, dall’altro l’incapacità delle autorità libiche nell’impedire la proliferazione di estremisti islamici e di criminali da e verso l’Africa sahariana, non hanno permesso un’evoluzione e una maggiore integrazione regionale lasciando il campo a esperimenti finora inconcludenti come l’Unione del Maghreb arabo – ossia l’unione politica sorta nel 1989 con il Trattato di Marrakech e composta dai cinque paesi del cosiddetto Grande Maghreb (Mauritania, Marocco, Algeria, Tunisia e Libia) –, già ampiamente condizionato dalle numerose tensioni diplomatiche fra i suoi appartenenti.

Infatti, in risposta a tali criticità le autorità hanno inizialmente reagito attraverso una militarizzazione del territorio, impegnando oltre 100mila uomini dell’esercito, dell’intelligence e del ministero degli Interni in una campagna di rafforzamento dei controlli lungo le frontiere al fine di sradicare il terrorismo salafita autoctono, la minaccia permanente di al-Qaida nel Maghreb islamico (Aqim) e i fenomeni criminali più o meno a esso collegati (il contrabbando/commercio internazionale di armi e droga). Situazioni, queste, che alla luce degli scarsi risultati raggiunti hanno spinto l’Algeria a modificare tale strategia e a muoversi entro un quadro di una maggiore cooperazione politica con i propri vicini. In quest’ottica l’Algeria, insieme a Tunisia e Libia, ha firmato tre memoranda in favore del presidio e della messa in sicurezza delle rispettive frontiere dalla proliferazione dei gruppi armati jihadisti e per combattere gli altri fenomeni criminali. Pur rappresentando una novità all’interno del frammentato panorama politico maghrebino, tale iniziativa ha raggiunto risultati modesti sia a causa dei fattori sopracitati, sia del persistere di tensioni interne ai paesi, della fragilità delle istituzioni ancora impegnate in un processo di transizione, nonché a causa degli attriti tra alcuni di loro (ad esempio il supporto di Algeri alla causa saharawi e il conseguente inasprimento delle tensioni con il Marocco) che rimangono gli ostacoli maggiori alla cooperazione interregionale nel Nord Africa maghrebino. Nessuno dei tre firmatari degli accordi di sicurezza, né tantomeno il Marocco, è disposto ad accettare la supremazia regionale dell’Algeria, l’unico paese dell’area che per retaggio storico e struttura di potere ha una capacità politica e militare idonea a sostenere un ruolo di leadership. 

Se le Primavere arabe hanno dunque garantito un certo status quo nei rapporti di forza regionali, la crisi nel vicino Mali e le sue conseguenze sul piano interno (si ricordi ad esempio l’attentato all’impianto gasifero di In Amenas, nel gennaio 2013) ed esterno (il possibile contagio nell’Africa sahariana) hanno concesso al paese nordafricano un insperato protagonismo anche nel continente nero. Trovando una sponda nella convergente difesa di interessi politici ed economici da parte di Unione europea e Stati Uniti, l’Algeria di Bouteflika, pur non partecipando all’intervento militare internazionale in Mali se non in modo indiretto, ha assunto nel corso della crisi un delicato ruolo di mediazione tra le istanze del governo di Bamako e quelle indipendentiste dei tuareg che le ha permesso di giocare più partite importanti sullo stesso tavolo ma subendo tuttavia i contraccolpi non solo politici di un tale coinvolgimento. Una strategia che è coerente con l’obiettivo del contenimento del qaidismo fuori dai confini nazionali. L’attivismo algerino nell’Africa saheliana si dimostra dunque ancora una volta funzionale alla logica del soddisfacimento degli interessi nazionali rispetto a quelli generali della regione. Come nel caso maghrebino, l’impegno regionale dell’Algeria è tale solo se direttamente proporzionale con i rischi alla stabilità e alla sicurezza interna dello stato nordafricano. 

Tale assioma è diventato l’asse portante anche nel rapporto con le diplomazie occidentali e che si è consolidato negli anni solo in presenza di interessi convergenti. L’Unione europea, con la quale intrattiene un importante accordo di partenariato, considera il paese dell’Atlante suo interlocutore privilegiato non solo perché è tra i principali fornitori energetici – verso i mercati europei attualmente esporta il 25% di gas naturale e il 39% di petrolio –, ma anche in quanto rappresenta un fondamentale partner nella lotta contro Aqim e il terrorismo jihadista e, più in generale, nel contrasto/lotta all’immigrazione clandestina. L’Algeria è, infatti, luogo di origine e di transito per i migranti diretti verso l’Europa che, secondo i dati forniti dal Migration Policy Centre, si sono aggirati intorno alle 100mila unità nel 2012.

Parallelamente anche per gli Usa la partnership strategica con l’Algeria riveste una notevole importanza. Sebbene permangano numerosi punti di disaccordo tra i due paesi – oltre alla causa saharawi, si sostanziano differenti approcci anche riguardo alla crisi in Siria –, la necessità di contenere la minaccia terroristica in Africa e di garantire la messa in sicurezza dei rifornimenti energetici rendono l’Algeria un partner essenziale nella politica estera degli Stati Uniti nel Sahel e più in generale nell’Africa occidentale, come dimostrato anche dall’apertura nel febbraio dello scorso anno di una base militare per i droni a Niamey, in Niger. Una convergenza di interessi ribadita già nel novembre 2012 dall’allora segretario di stato Hillary Clinton che firmò il rinnovo dei piani di dialogo strategico con Bouteflika e confermata anche durante la visita di John Kerry ad Algeri, lo scorso 5 aprile.

In contesti regionali caratterizzati da grande fluidità geopolitica e che vedono l’emergere di nuovi attori transnazionali (Aqim), affiora dunque il profilo di un paese che aspira a essere una potenza regionale – soprattutto in tema di sicurezza – e la sua riluttanza nel mostrarsi come un attore affidabile e capace di portare avanti quel ruolo di leadership nel suo cortile di casa.

Giuseppe Dentice, ISPI Research Assistant
 

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