È forse il mito più ancestrale e affascinante, di sicuro è quello più persistente nell’immaginario degli uomini, quello per decifrare il quale si è indagato di più, dalla Grecia alla Turchia alla Gran Bretagna, perfino al Giappone: quanto sareste sorpresi se qualcuno vi rivelasse che la fantastica Atlantide era, in realtà, la Sardegna? Platone descrive il regno di Atlante nel Timeo e nel Crizia scrivendo di «un’isola grande più della Libya e dell’Asia», potente, civile e sacra a Poseidon, dio del mare, e i cui abitanti erano «costruttori di torri».

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L’isola doveva essere ricca di acqua e foreste, con un clima dolce che permettesse più raccolti all’anno e, soprattutto, tanto ricca di minerali (argyròphleps nesos, «l’isola dalle vene d’argento») da permettersi cerchie di mura concentriche di ogni metallo. Atlantide si trovava oltre le Colonne d’Ercole ed era già antica per gli antichi quando venne inabissata dall’ira degli dei, «9000 anni prima» del tempo in cui scriveva Platone.

(Barumini si sviluppa intorno ad un bastione di quattro torri più una centrale risalente al XVI-XIV secolo a.C.).

LA TEORIA

Secondo Sergio Frau (già giornalista e creatore di questa ipotesi, oggi confortata da dati di aerofotogrammetria, che preferisce la dizione «isola di Atlante») tutte queste caratteristiche sono riscontrabili in Sardegna e non altrove. In effetti la Sardegna sembrava agli antichi anche più grande della Sicilia, lì si facevano tre raccolti l’anno e il clima era eccezionalmente dolce, lì c’erano foreste immense e acqua in abbondanza, lì c’erano piombo, zinco, argento e la società era metallurgica fino dagli albori; lì vivevano i Thyrsenoi (i Tirreni), cioè i «costruttori di torri», i nuraghi. Gli ultimi dati riguardano proprio la civiltà nuragica: le fotografie aeree rivelano che quasi tutti i nuraghi che si trovano a quote basse sono sommersi dal fango, spesso irriconoscibili a prima vista, compresa la grande reggia nuragica di Barumini, disseppellita da 12 metri di fango e portata alla luce dopo 14 anni di scavi. Mentre i nuraghi a quote più alte, sulle giare, sono intatti e fuori dal fango. Perché? Forse la causa sta nella fine di Atlantide: uno tsunami di proporzioni enormi avrebbe colpito la Sardegna: i «costruttori di torri», che vegliavano un gigantesco forziere di argento, raccolti e civiltà perdono molte delle loro costruzioni (i nuraghi censiti sono 8.000, ma c’è ragione di pensare che siano molti di più). Gli approdi sicuri e i porti annegano sotto il fango, non ci si orizzonta più tra i fondali e la rete di commerci millenaria salta. In quel momento arrivano i Fenici e gli atlantidei finiscono asserviti ai faraoni o come fabbri in tutto il Mediterraneo. Non fu un maremoto qualsiasi, fu un megatsunami, con ondate alte centinaia di metri, eventualità oggi ritenuta possibile da molti studiosi.

(8000 nuraghi quelli censiti in Sardegna e che potrebbero corrispondere all’opera

dei costruttori di torri di Atlantide)

Restano due problemi, il momento della fine e l’indicazione geografica. Novemila anni dalla morte di Socrate, cui dobbiamo sommare 399 anni e 2016 anni fino a noi: il tutto fa circa 11.550 anni. Ma a quel tempo non esisteva nessuna civiltà nel Mediterraneo. E se, come spesso accadeva in passato, non si fosse trattato di novemila anni, ma di novemila mesi? In questo caso si arriverebbe al 1200 a.C., momento cruciale in cui la Sardegna passa dall’età del bronzo a quella del ferro e in cui viene segnalata una poderosa tempesta sismica.

GIBILTERRA O SICILIA

Infine, la collocazione, «oltre le colonne d’Ercole». Forse, prima del III secolo a.C. le Colonne d’Ercole non erano a Gibilterra, ma nel Canale di Sicilia: lì si trova un mare davvero pericoloso da attraversare, ricco di secche e fondali fangosi (la descrizione che ne fa Platone). A Gibilterra, invece, ci sono 700 m di acque limpide e nessun pericolo. Ma chi ha spostato le Colonne d’Ercole? Il responsabile è Eratostene (III secolo a.C.) di Cirene, che porta le Colonne a Gibilterra, probabilmente per rimettere Delfi al centro del mondo conosciuto, dopo che era passato il ciclone di Alessandro Magno, che aveva allargato i confini del mondo verso Oriente. Le Colonne migrano a Occidente per ragioni di simmetria, cade la cortina di ferro del mondo antico. Nasce una nuova geografia.

(A Ceuta di fronte a Gibilterra la statua che ricorda l’eroe greco in una delle sue dodici fatiche: superare i limiti)

Naturalmente molti pensano che Atlantide sia solo una metafora platonica: può darsi, però, come scriveva il filosofo neoplatonico Salustio, «queste storie non avvennero mai, ma sono sempre». Certo, se questa ipotesi è vera, bisogna formattare daccapo il disco rigido ormai vecchio e intasato della nostra cultura classica, in cui tutto è Grecia. Ma un giornalista-archeologo (e un po’ geologo) ci invita a farlo con argomenti chiari e avvincenti. Magari occorrono ancora altre prove, ma anche questa storia nasce da un sogno, solo che resta lì quando ti svegli e a farci i conti sono le nostre radici: è come se un pezzo di noi tornasse finalmente al posto che aveva, verso le terre del tramonto da cui siamo realmente venuti.

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