Mennea un anno nel ricordo

20 Marzo 2014

Domani, 21 marzo, ricorre il primo anniversario della scomparsa dell'olimpionico di Mosca 1980; l'uomo e il campione che ha lasciato un segno indelebile nella storia dell'atletica italiana e non solo.

di Giorgio Cimbrico

Mattino, un anno fa. Una telefonata. E’ mio figlio: “Devo dirtelo, pa’: è morto Mennea”. Cinque parole per finir nei corridoi del tempo: mio figlio aveva due anni e mezzo quando Pietro, al Palasport di Genova, corse contro il record mondiale indoor ed ebbe la meglio. Piccolo, si aggirava per casa e diceva: “Mennea è l’uomo più veloce del mondo”. Meno di trent’anni dopo, è toccato a lui darmi la notizia. Altre telefonate con vecchi amici, con Sara Simeoni, con Carlo Vittori, con Stefano Tilli, con Algio Giomi, con Mauro Nasciuti. Poi, gli occhi che cercano il muro e lo fissano, il tentativo di capire, di provare a metter assieme gli sparsi pezzi del mosaico: Pietro era in forma quando prima dei Giochi di Londra apparve in tv, Pietro non era in forma quando, per caso, lo incrociammo su un video all’anniversario dell’Aics nel salone d’onore del Foro Italico che stava per accoglierlo. Invecchiato, smagrito, la vecchia rigogliosa chioma ridotta a stoppie. Sarà stato gennaio e stava andando verso il calvario tenendo al suo fianco Manuela e nessun altro, rivelando la sua condizione solo a una ristrettissima cerchia quando la fine era nota e vicina.

Le lacrime, la messa nella bella chiesa dell’Aventino con le colonne romane all’ingresso, l’ultima staffetta con i suoi giovani compagni di Helsinki, i ricordi di quei ragazzi che oggi sono dei cinquantenni e non hanno dimenticato nulla, il viaggio breve verso Primaporta. E l’attesa per conoscere lei, Manuela, che gli è stata vicina.


E’ venuta a Mosca (prima della finale dei 200, un vecchio filmato da groppo in gola), ha incontrato vecchi amici di Pietro (Valeri Borzov, Sebastian Coe) che non conosceva e ha visto la pista. Quella del vecchio Lenin ora Luzhniki, dell’impresa, della rimonta su Allan Wells, dell’oro olimpico di 33 anni fa. E una sera, sulla Moscova, Manuela ha raccontato: “Manué, mi diceva, o vincevo quella o di Olimpiadi non ne avrei vinto più. Quella gara io non l’ho vista e per essere sincera Pietro non l’ho visto correre mai. Ma è possibile? Per me hanno anche interrotto il telegiornale delle otto e mezza, si stupiva. No, non seguivo proprio, sapevo al massimo che esisteva un atleta che si chiamava Pietro Mennea. Tutto qui”.

Manuela è una donna sottile, elegante. Raccontava questo scorrere di cose sul fiume che scivolava nel silenzio di una notte fresca: “Una conoscenza casuale, più di vent’anni fa. Lui aveva smesso. La prima sera che uscimmo assieme mise in moto la macchina, usci da Roma, proseguì. Con tutti i ristoranti che ci sono a Roma, dove stiamo andando? Andammo a Formia, per anni la sua casa, il suo alveo. Era lì che si sentiva a proprio agio, protetto”. Pietro ha corso sempre deciso. In pista, poi sui libri: “Dopo la laurea in economia, quella in giurisprudenza. E così siamo diventati colleghi. Ma non gli bastava. Manué, voglio anche la laurea in lettere, in storia. Leggi, gli rispondevo, e gli davo qualche consiglio. E lui accumulava testi di ogni tipo. Il nostro studio era pieno, la nostra casa all’Aventino era piena.


Ci rassegnammo e comprammo un appartamento per riempirlo di libri”.

Nulla sulla scoperta della malattia, sulla sofferenza, sulle ultime ore nell’alba del 21 marzo, primo e ultimo giorno di primavera, ma molto sul Pietro che continua a sentire attorno: “Gli oggetti, le cose, l’incredibile quantità di cose che ha messo assieme. Le maglie, ad esempio: quella dell’Avis Barletta è di lana. E le medaglie, sin da quelle vinte da ragazzo. Teneva tutto. Era il magazzino dei suoi mondi. E poi c’erano i libroni che avevano cominciato a mettere assieme i suoi: ritagli appiccicati, a centinaia. Pietro atleta e campione l’ho scoperto sfogliando quella collezione. Pietro uomo l’ho scoperto da me: buono, ostinato, con una memoria ferrea, a volte diffidente. Gli piaceva fare del bene ma a volte mi diceva: perché quei soldi non li diamo direttamente al medico che deve operare la bambina? Non si sa mai”.

Il Golden Gala dedicato a lui, il nome sulle maglie della spedizione azzurra ai Mondiali, il 12 settembre in migliaia in pista e in strada, in tutta Italia, per un 200 di massa e d’amore, una statua di marmo di Carrara: si è da dato da fare Luigi Benedetti, un altro dei tempi memorabili. Di Pietro erano tutti amici sinceri e profondi. E così non si può che tornare a quel pomeriggio d’inverno a Genova quando tenendo la borsa appesa su una spalla da Padova arrivò Lucano Caravani: “Ho saputo e sono venuto a dare una mano”. Pietro era amato dagli atleti come Maradona è amato dai giocatori. Ancora Manuela: “Con Pietro mi ritrovo al fianco tutti i giorni, nel nostro studio. Stava lavorando al recupero crediti della Lehmann Brothers, una faccenda impegnativa. Ora la porto avanti io”. Non se n’è andato.

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File allegati:
- Pietro Mennea - FOTO


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