È morto Massimo Mongai autore italiano di fantascienza

È stato uno degli autori scifi più originali degli ultimi tempi. Mescolava fiction e biografia, dando voce a storie argute. Nel '97 vinse il premio Urania con Memorie di un cuoco d'astronave

Ieri, 1 novembre 2016, è morto Massimo Mongai, autore di fantascienza che meritava molta più fama di quanta ne ha raccolta in vita. Lo so che questo è un modo pessimo di cominciare un necrologio, ma le cose stanno così. Mongai, romano, classe 1950, è stato un autore originale, che ha compiuto un piccolo grande miracolo, quello di costruire una fantascienza che in parte si rifaceva ai grandi maestri americani degli anni Settanta come Philip José Farmer, ma pulsava soprattutto di umori e problematiche personali.

Tanto per dire, Mongai, tra i vari lavori svolti prima di dedicarsi alla scrittura a tempo pieno, era stato cuoco su una nave, ebbene tale esperienza gli fu d’aiuto nella stesura del suo primo romanzo, quello che gli valse la fama e, nel 1997, il Premio Urania, Memorie di un cuoco d'astronave.

È la storia di un cuoco, Rudy Basilico, che sale a bordo di un’astronave e, attraverso la cucina e le abitudini alimentari delle varie specie, impara le diverse culture che popolano la galassia. Tra un capitolo e l’altro ci sono ricette di improbabili (ma fino a un certo punto) piatti del futuro. Il romanzo è narrato in prima persona con uno stile arguto e umoristico che a me, a tratti, aveva ricordato lo Stanislaw Lem di Memorie di un viaggiatore spaziale più che Douglas Adams, autore al quale Mongai veniva spesso, ed erroneamente, paragonato*.* Memorie di un cuoco era - ed è - un bel romanzo sulla diversità e l’amore per la cucina e secondo me, ad oggi, rimane uno dei più riusciti e originali del panorama scifi italiano.

Un altro romanzo in cui Mongai aveva mescolato problematiche personali a temi classici della fantascienza era Una tuta spaziale taglia 48. È la storia di Max Miller, umano che vive su un pianeta enorme, pieno di città, genti, panorami diversi tra loro. Miller vuole fuggire ma per farlo e imbarcarsi su una delle astronavi aliene in grado di attraversare lo spazio deve comprare una tuta spaziale autorigenerante, un modello pensato apposta per i viaggi lunghi e (quasi) impossibili. Il problema, oltre alla reperibilità della tuta, è che Miller è un obeso e per indossarla deve dimagrire 30 chili. Nell'introduzione al romanzo Mongai scriveva: "Spero che quando questa introduzione sarà letta, ci sia un po' meno di me. Nel senso che mi sono messo a dieta. E se pensate che in questa storia ci sia qualcosa di autobiografico, ebbene avete ragione. Il personaggio di questa storia, se avete letto la quarta di copertina, ha più di 50 anni e deve perdere 30 chili. Io sto messo peggio, ne ho 62 e nemmeno vi dico quanti chili dovrei perdere".

Non ho mai conosciuto Mongai di persona, solo via email e sulla chat di Facebook. Chi lo frequentava lo descrive come un uomo passionale, dalle forti opinioni, a tratti difficile. Ci sta. Era un autore vero, divertente e che si metteva in gioco. Era un autore di scrittura che aveva un talento naturale per l'affabulazione. Non scriveva saghe, ma romanzi e racconti (tra gli altri titoli citiamo Il fascio sulle stelle di Benito Mussolini, Alienati, Il gioco degli immortali e Psicopatologia sessuale di una prostituta cyborg e altre storie);  non seguiva le tendenze letterarie del momento o almeno non ne era asservito, ma usava la parola per esprimere se stesso. E divertirsi perché leggendolo, è questo che sente di fare il lettore, si diverte, esplora e conosce.