Quando sposi un giornalista sposi il giornalismo e devi esserne ben consapevole ma non lo sei. Specialmente se il giornalismo si presenta a te con gli occhi cosi azzurri e il piglio di Elvis. E allora lo sposi.

Anche se ti dice di essere stato licenziato e di non sapere come sbarcare il lunario. E tu, completamente innamorata lo sposi. E ti affidi.

 

Inizierà a farti fare lavoro redazionale: tu sarai il correttore di bozze e ogni virgola sarà oggetto di profonde litigate. Perché tu stavi preparando il sugo. E non avrai voglia né tempo né cuore di correggere la punteggiatura (anche perché non la sai...).

 

Quando sposi un giornalista e vai in un cinema a Beinasco dopo l'attentato alle Torri Gemelle e ti dicono di evacuare per allarme bomba, ti troverai seduta da sola sui gradini mentre lui sarà dentro in direzione ostinata e contraria e ti dirà: «Aspetta amore». E tu aspetterai, pur covando un risentimento che sarà sempre passeggero perché basteranno quegli occhi a farti dire... non importa, lo perdono.

 

Quando sposi un giornalista ti allenerai a restare a casa da sola perché le domeniche non saranno tue e forse neanche i sabati e alla sera si mangerà doppio turno, con i bambini che ti diranno: «Mamma quando torna?».

 

Quando sposi un giornalista ti devi aspettare che potrà morire. Non che la morte non sia una compagna di viaggio per tutti. Sorella morte diceva Francesco. Lo è per tutti. Anche se la occultiamo. Anche se decidiamo che non ci sia, come se fossimo fatti di plastica. Come se non ci trasformassimo mai in ossa e polvere.

La morte invece va presa per mano.

 

E io voglio prendere per mano tutto di questa storia che Mauro mi ha lasciato sulle mani. L'ennesimo pezzo da passare. E sto qui per citare un amico carissimo lo scrittore Luca Doninelli «con il cuore spezzato e con il fiato sospeso».

 

A tenere insieme i pezzi nella mia testa che è una saetta da giorni ma che non ha risposte e non ne pretende con violenza ma con umiltà. In Giovanni 8, Gesù dice: «Se rimarrete nella mia parola, la verità vi renderà liberi».

 

Ci saranno indagini, lo avete letto e talvolta sarebbe bene ricordarsi del lenzuolo bianco di Calabresi e fare un passo indietro anche come giornalisti.

Perché per quanto scaveremo cercando di estrapolare i fatti uno per uno dal corpo di mio marito, ci sarà sempre un margine più o meno grande di Mistero insondabile che mi chiede di prendergli la mano per farmi capire non tanto il perché ma il come e soprattutto il Chi.

 

E' questo Chi che mi fa dire che tutto è già perdonato e tutto è già salvo.

Questo articolo è stato pubblicato nell’edizione odierna del quotidiano La Stampa (nelle pagine della cronaca torinese) 

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