INNOVAZIONE

Metalli su misura e pezzi unici: la nuova era della stampa 3D

di Luca Orlando

4' di lettura

«Dovevo farlo, per essere in grado di gestire la crescita». La scommessa di Mauro Antolotti al momento è vinta a mani basse. Ed è un bene, perché per un’azienda che fattura cinque milioni, investirne altrettanti in un solo anno non è esattamente una passeggiata. Ma i numeri di Beam-It sono eloquenti, con la Pmi parmense protagonista di una crescita esplosiva, in grado dal 2011 al 2017 di moltiplicare per cinque i ricavi, che nel 2018 lieviteranno di un altro 25%. «Dal 2013 abbiamo investito 18 milioni - spiega l’imprenditore - e ora abbiamo 23 macchine e 40 addetti, che tra quattro anni credo saranno 100».

È la punta dell’iceberg di un mercato che inizia ad uscire dalla fase pionieristica, con la domanda di manifattura additiva in metallo a crescere in modo esponenziale. Pezzi unici o piccole serie di componenti complessi, in primis per l’industria automobilistica e aerospaziale, che riescono ad essere prodotti a prezzi competitivi eliminando stampi e modelli, passando così dalla tecnologia ad asportazione (il classico centro di lavoro) all’estremo opposto, l’aggiunta di strati successivi di materiali: leghe metalliche gestite da macchinari che possono costare anche più di un milione. Se l’Italia non è affatto apripista pr queste tecnologie (nel mondo il business ha superato il miliardo di dollari), il 2018 per noi è a tutti gli effetti l’anno della svolta, con 200 milioni di euro di investimenti in campo.

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A rilanciare è anzitutto il pioniere del settore Avio Aero (gruppo Ge), che dopo aver creato a Cameri un maxi-centro per realizzare pale turbina ora cresce a Brindisi. In tutto 25 addetti e 3500 metri quadri con 30 macchine, che raddoppieranno entro il 2021 così come il personale: un investimento di 100 milioni, tra quanto già realizzato e quanto previsto in futuro. «Non si tratta più solo di risolvere problemi specifici come la lavorazione del titanio - spiega il responsabile ingegneria Giorgio Abrate - ma di cambiare l’intero modo di progettare, perché ora si aprono nuove possibilità. Nel motore d’aereo Ge Catalyst, ad esempio, abbiamo sostituito 855 pezzi diversi con 12 parti, costruite grazie alla manifattura additiva. Io credo che questa tecnologia rivoluzionerà il modo in cui lavorano le officine».

Business su cui si getta la torinese Prima Industrie, da poco sul mercato con le prime stampanti:  già venduti i primi quattro impianti (tra cui una macchina da un milione di euro per riparare componenti di grandi dimensioni nell’Oil&Gas), a breve lancerà il brand Prima Additive, entro pochi mesi creerà a Collegno un nuovo centro applicativo, investimento di oltre cinque milioni. «Servirà da centro ricerca - spiega Paolo Calefati, innovation manager e Additive Manufacturing business development di Prima Industrie- ma anche da luogo di esposizione dei prototipi : sul mercato non arriviamo certo per primi ma abbiamo tutte le competenze per poter crescere e saremo presto in campo per realizzare la nuova generazione di prodotti»

Al via anche l’emiliana 3D4Steel, parte di un gruppo da 50 addetti, che ha appena venduto il suo primo impianto, realizzato grazie ad una tecnologia proprietaria. «Il target per il 2019 è di 16-20 macchine - spiega il fondatore Ivano Corsini - e pensiamo di raggiungerlo, dato che sono molte le trattative in fase avanzata».

In manovra sono però anche gruppi di maggiori dimensioni, come Tenova, capofila di un progetto da 6,6 milioni finanziato in parte da fondi europei attraverso Regione Lombardia, con l’obiettivo di creare una fabbrica “diffusa” di competenze e tecnologie per la stampa in 3D dei metalli.

E se finora gli utilizzatori delle stampanti impianti dovevano necessariamente acquistare le polveri dall’estero, d’ora in poi sarà possibile agire in modo “autarchico”.

A breve andranno infatti a regime i primi due impianti italiani per la produzione di polveri metalliche. Il colosso della metallurgia Fomas ha investito otto milioni per creare Mimete, che a regime sfornerà fino a 300 tonnellate di polveri e che già dal prossimo anno punta a realizzare 8-9 milioni di euro di ricavi coinvolgendo una ventina di addetti. «Per noi - spiega il vicepresidente di Fomas e amministratore unico di Mimete Jacopo Guzzoni - si tratta di un investimento importante e credo azzeccato. Ora siamo al lavoro nelle fasi di pre-qualifica dell’impianto e dei materiali ma i segnali che abbiamo dalla domanda in Italia e altrove sono quelli che ci auguravamo: un mercato in crescita esplosiva».

L’altra start-up è in Umbria, dove Numanova (gruppo Italeaf) ipotizza per il 2019 target simili: 246 tonnellate di produzione e otto milioni di ricavi, concentrandosi sulle leghe avanzate in titanio e alluminio. «Il progetto prevede di costruire un secondo impianto rivolto al mondo dell’acciaio - spiega l’ad di Numanova Corrado Giancaspro - e noi vediamo in Italia un mercato assolutamente interessante: credo che da qui a cinque anni tutte le officine meccaniche di precisione avranno almeno una macchina additiva a polveri metalliche». Trend confermato dai terzisti specializzati, cluster presente soprattutto in Emilia-Romagna. Zare, 25 addetti, fatturava un milione nel 2013, 4,7 lo scorso anno, che però è già storia. «A dicembre arriveremo attorno a 7-8 milioni - spiega il direttore marketing Francesco Boschetti - ed è una stima realistica perché già ora siamo sui livelli raggiunti lo scorso anno».

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