12 aprile 2018 - 12:29

Limone non può gestire l’acquedotto: passa all’utility Acque Bresciane

Il Consiglio di Stato boccia la gestione in economi. «Sancito un principio giuridico netto: le gestioni in autarchia sono contro la legge»

di Pietro Gorlani

shadow

È «illegittimo» che un comune possa tornare a gestire in house il proprio acquedotto, come ha fatto Limone sul Garda sfilandosi da Garda Uno. Perché dall’ottobre 2016 c’è una società interamente pubblica, Acque Bresciane srl, che il 27 dicembre 2017 ha assorbito la multiutility pubblica benacense quindi anche i 26 comuni (compreso Limone). A dirlo è il Consiglio di Stato, che ha imposto a Limone «di ottemperare al decreto del Presidente della Repubblica dell’ 8 marzo 2017, mettendo a disposizione di Acque Bresciane gli impianti dell’acquedotto comunale» (gli impianti di fognatura sono già confluiti nella nuova multiutility) entro sessanta giorni. Se questo non avverrà sarà un commissario ad acta (previa decisione del Tar) ad imporre il trasferimento. Una soluzione estrema che le parti dovrebbero scongiurare, fa sapere il presidente di Acque Bresciane, Gianluca Delbarba, il quale ha avviato un dialogo «costruttivo» con il sindaco Franceschino Risatti.

La sentenza ha però un valore ben più esteso: «È il definitivo rafforzamento di un principio giuridico netto; il gestore provinciale del servizio idrico è uno e non è più possibile continuare con le gestioni in economia dei singoli comuni: sono contra legem» aggiunge Delbarba. Messaggio chiaro per quei paesi che ancora oggi gestiscono i propri acquedotti: è il caso di Cigole, Ghedi, Adro, ma anche dei trenta comuni della Valcamonica, i quali proseguono la battaglia giuridica per non cedere il servizio, facendo leva su una norma di legge che tutela i paesi con fonti idriche di pregio o che si trovano in parchi nazionali.

Ad oggi Acque Bresciane gestisce il ciclo idrico di 88 comuni su 205. A gennaio sono entrati Edolo, Cedegolo, Sonico, Sellero, Paisco Loveno, Malonno e Nuvolento (il prossimo sarà Prevalle). Comuni che saliranno a 110 (il 54% del territorio) nel 2019. Dovrebbero entrare anche una ventina di paesi (tra cui Manerbio) fino ad oggi gestiti da A2A ma i cui affidamenti sono in scadenza. Ecco, l’altro tema cardine riguarda proprio l’altra metà del territorio bresciano ad oggi gestito da A2A (a partire da Brescia città). La Provincia ha deciso di mettere a gara la gestione in questi comuni, per individuare il socio privato, che dovrebbe affiancare Acque Bresciane con una quota compresa tra il 41 e il 49% facendo nascere una società mista ma a maggioranza pubblica. Ma 54 comuni hanno deliberato la volontà di indire un referendum consultivo affinché la gestione del ciclo idrico rimanga interamente pubblica. L’appuntamento con le urne è ad ottobre ma è chiaro che l’eventuale gara slitta come minimo al 2019, se non oltre. Per avere un servizio pubblico al 100% Acque Bresciane dovrebbe rilevare i paesi gestiti da A2A subentrando ai mutui accesi per ammortare gli investimenti. Ma così facendo - hanno ribadito più volte i vertici della società - ci sarebbe meno forza economica per accendere nuovi mutui necessari a realizzare depuratori e collettamenti mancanti anche sui comuni che già gestisce (su tutti la partita del nuovo depuratore del Garda). Si prefigura quindi uno stallo annoso che vedrà convivere Acque Bresciane ed A2A: la prima subentrerà alla gestione dei comuni della seconda società, man mano scadranno gli affidamenti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT