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Economia

Perchè la Silicon Valley investe sulla politica europea

Tim Draper, uno dei più facoltosi ventur capitalist della Silicon Valley, nel corso di un suo recente viaggio in Europa, incontrando giovani promotori di start up ha detto che oggi in Europa uno dei settori dove investire con aspettative di sviluppo e affermazione è la politica. In particolare, ha spiegato, che i ritardi e le lentezze delle istituzioni aprono la strada a innesti di soluzioni tecnologiche, servizi digitali, ma anche ruoli di management che potrebbero sostituire le procedure tradizionali in poco tempo.

Non è la prima volta che dalla Silicon Valley si guarda alle istituzioni politiche come a dei servizi da rendere più efficienti e centralizzati. La poderosa azione di lobbying avviata a Washington e a Bruxelles da parte dei grandi monopoli digitali, insieme a uno sforzo per accreditare soluzioni algoritmiche come la migliore ottimizzazione del problem resolving, sono due aspetti della stessa strategia: mettere in mora le istituzioni.

La democrazia torna sotto tiro degli ingegneri. Già nel passaggio fra il XIX° e il XX° secolo, con l'espandersi del taylorismo come scienza del lavoro, fu esercitata una grande pressione sulle nascenti democrazie parlamentari. I partiti, sull'onda dell'ennesima stagione di scandali, furono messi alla berlina, e si sviluppò una grande letteratura, sia in America che in Europa, per il cosiddetto governo degli esperti. Walter Lippmann, allora giovane intellettuale in attesa di diventare un grande giornalista, con il suo saggio Drift and Mastery guidava la campagna per una nuova leva di ingegneri al vertice dello stato.

Anche alla fine del secondo conflitto mondiale, sotto l'incubo della bomba nucleare, e delle tecnologie ad essa collegate, si aprì una stagione di esperti al potere che mirava a delegittimare i meccanismi della democrazia tradizionale. Accanto agli ingegneri era la volta dei matematici e degli economisti a candidarsi come nuova elite di governo.

Oggi siamo a un tornante ancora più stressante. Sono gli algoritmi che reclamano direttamente la guida dei paesi. La moneta Bit Coin, con i suoi esoterici meccanismi automatici di stabilizzazione, è forse l'emblema di questa stagione, dove persino i grandi banchieri centrali stanno accreditando la bontà di questi sistemi automatici per governare l'economia mondiale.

Negli Stati Uniti uno come Donald Trump, l'eccentrico miliardario che incalza Hillary Clinton, parla esplicitamente di automatizzazione della burocrazia. E persino nella nostra Italietta mediterranea si affida a un algoritmo il riassetto del corpo insegnanti della scuola dell'obbligo, oppure Grillo dichiara che sarà lui e Rousseau, la piattaforma informatica dei 5S a governare il Movimento.

È forse giunto il momento di affrontare seriamente il tema: non è folclore, siamo dinanzi ad una nuova fase della storia, dove interessi e poteri stanno mettendo all'ordine del giorno la soluzione finale della democrazia. Non a caso a tenere banco in tutte le discussioni politiche è la semplificazione: delle procedure, delle istituzioni, delle leggi. Una logica questa della semplificazione mutuata direttamente dalla cultura informatica: ogni algoritmo nasce per semplificare all'utente l'accesso ad una soluzione: con un click hai fatto, recitano ormai tutti i libretti delle istruzioni.A fronte di ogni semplificazione insorge un'automazione delle nostre attività discrezionali: più semplifichiamo la nostra vita più deleghiamo i nostri giudizi.

Come spiega uno dei massimi esperti mondiali del fenomeno, l'indiano Raja Parasuraman "l'automazione non si limita a sostituire l'attività umana, ma la cambia, spesso in modi non voluti e non previsti dal progettista" In sostanza "l'automazione altera sia il lavoro sia il lavoratore". Questa è la storia recente che abbiamo alle spalle negli ultimi quattro lustri. Una storia di semplificazioni, di deleghe, di sostituzione dei mediatori nelle nostre relazioni. Dalle attività più elementari, come il modo di scrivere una lettera, siamo passati alla ricerca di contenuti, alla loro selezione, e poi alla indicazione autonoma da parte del sistema digitale di quello che è più adeguato per noi, fino all'imbottigliamento di ognuno di noi in quello che ci piace e che conosciamo. È una storia che alle spalle ha una sua preistoria, quella dell'automatizzazione del lavoro manifatturiero. Un processo che ha visto il lavoratore progressivamente emarginato e decentrato, e con esso decentrati c tutti i valori delle relazioni industriali, a cominciare dalla stessa democrazia in fabbrica che è stata sostituita con un software.dalle fabbriche siamo poi passati ai servizi.pensiamo a come si pilota un aereo o un treno, semplicemente sorvegliando un computer. Dai servizi ci si allarga ora alle relazioni umane e istituzionali, modellizzando, tramite i big data, desideri e bisogni, e proponendo soluzioni personalizzate.

L'intero mercato dell'informazione, ossia il nevralgico sistema sulla cui base si era formata l'opinione pubblica che a sua volta aveva dato forma agli stati nazionali, oggi è sconvolto da modalità del tutto ottimizzate di distribuzione delle notizie: una per uno, ad ognuno la sua. Instant Articles di Facebook, che oggi si candida ad edicola globale del mondo, infatti distribuisce le informazioni non più sulla base della cronologia, del tempo, ma secondo proprio criteri algoritmici, basati sulla profilazione di ognuno dei suoi due miliardi di utenti, o sulla pertinenza delle conversazioni che registra sulle nostre pagine.

Spotify, il sistema di streaming musicale più diffuso sul pianeta, è andato ancora oltre, elaborando un algoritmo in grado, sulla base dei dati che noi gli forniamo, di elaborare quelli che saranno i nostri gusti, e poi fa in modo che la realtà coincida con le sue previsioni, proponendoci composizioni realizzate gradualmente sulla base dei profili futuri elaborati. Immaginate cosa potrebbe accadere se questo intreccio fra profilo del nostro gusto e del nostro comportamento si intreccia con una proposta politica modellata, disegnata esattamente sui parametri che consideriamo per noi positivi? Si costruirebbero consensi on line, su misura. Si riconfigurerebbe la democrazia.

Non siamo molto lontani. Il nostro referendum istituzionale che abbiamo alle porte, piuttosto che essere sprecato in una miserabile resa dei conti fra fazioni o correnti, dovrebbe aprire una vera riflessione su questi temi. Non solo e non tanto richiamare il pensiero dei padri costituenti, che Dio li abbia in gloria, quanto misurare l'azione dei nipoti intraprendenti, come Tim Draper che vuole investire i suoi capitali per cambiare la politica in Europa, essendo sicuro di guadagnarci.

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