Il chatbot legge il curriculum: a colloquio di lavoro con gli algoritmi

Cresce nelle aziende l'interesse per utilizzare chatbot nelle fasi di selezione e di valutazione delle persone da assumere. Un aiuto per i dipendenti dei dipartimenti risorse umane, che riescono a leggere solo il 30% dei curriculum che ricevono

Aumenta la complessità di ruoli e posizioni, i profili professionali hanno confini sempre più sfumati e cresce la voglia di rimettersi in gioco di molti manager che, vedendo arrivare l’onda del cambiamento, cercano di surfarci sopra per non esserne travolti. Le imprese sono a caccia di risorse fresche ma capaci di adattarsi alla cultura aziendale: chi si occupa di selezione del personale rischia di trovarsi di fronte a uno tsunami di curriculum. I chatbot dedicati al recruitment possono essere la soluzione per non naufragare fra le proposte? Secondo una ricerca dell’Associazione italiana direttori del personale (Aidp), i recruiter visionano solo il 30% dei curriculum, dedicando molto tempo a far combaciare le hard skill (competenze tecniche) richieste, e alla verifica delle caratteristiche base del candidato ideale (età, titolo di studio, anni di esperienza, etc.). Questo a scapito della valutazione delle soft skill, discriminanti nel processo di assunzione secondo il 94% dei direttori del personale.

Isabella Covili Faggioli, presidente Aidp, spiega: “È in atto un trend in molte aziende italiane, che riflette un trend globale, soprattutto quelle più grandi e strutturate, di utilizzo dei sistemi di recruitment tramite chatbot e di selezione attraverso sofisticati algoritmi ideati allo scopo". Per Covili Faggioli, "questi nuovi strumenti presentano degli aspetti positivi. In tal senso vorrei citare la recente ricerca di Linkedin (Global Recruiting Trend) svolta a livello globale dalla quale emerge che per il 67% degli addetti ai lavori l’intelligenza artificiale fa risparmiare tempo, per il 42% consente di superare pregiudizi tipici dell’essere umano, mentre per il 31% permette di trovare con maggiore facilità il candidato migliore. Tre aspetti che possono migliorare il processo di selezione. Come sempre il tema è chi gestisce lo strumento e se l’uomo è l’oggetto o il soggetto della tecnologia. Penso, tuttavia, che l’utilizzo di un algoritmo nelle fasi di ricerca e selezione sia molto utile per alleggerire e migliorare le fasi più noiose e ripetitive del processo”.

Il trend globale in corso e la prudenza italiana sono confermati da Randstad, secondo operatore mondiale dei servizi per le risorse umane. In Italia l'azienda non ha ancora implementato alcun sistema di chatbot, ma il Randstad Innovation Fund (il fondo Randstad internazionale per sostenere l’innovazione nel settore delle risorse umane) ha recentemente finanziato la piattaforma di chatbot recruiting Wade & Wendy. In Italia Vidiemme Consulting sta facendo i primi esperimenti. Oltre ad aver progettato un chatbot proprietario per la selezione, sta implementando uno strumento su misura per una multinazionale nel campo della selezione, che sta estendendo all'Italia la pratica utilizzata in altri paesi.

PersonalizzazioneOgni chatbot va creato su misura perché l’incontro fra domanda e offerta sia significativo. Come spiega a Wired Luca Valsecchi, amministratore delegato di Vidiemme, "durante la fase di progettazione di un chatbot è necessario effettuare un’analisi dell’azienda è necessario conoscere la realtà aziendale, come integrarla nelle tecnologie e canali utilizzati dal cliente, quale immagine vuole trasmettere e quali processi vuole andare a supportare o automatizzare”.

Secondo Ximo Soler Casamada, Senior Vice President, Digital Strategy & Innovation di Randstad Digital Factory, molte aziende stanno adottando i chatbot senza un'adeguata analisi della soluzione dei problemi. A Wired spiega che "Con Randstad Singapore abbiamo testato il chatbot Mya per riconnetterci con profili IT “passivi”, presenti nel database ma silenti rispetto alle offerte di lavoro che gli erano presentate: una modalità d’uso molto specifica che ha avuto un alto tasso di risposta. In generale possiamo dire che la maggior parte dei robot di oggi sono bravi in una singola cosa perché è necessario del tempo per addestrare adeguatamente il sostegno”.

IstruzioneChi costruisce le architetture di dialogo dei chatbot e come li istruisce? Valsecchi racconta che “le attività di un chatbot designer devono seguire un ordine ben preciso. Si inizia con lo studio del brand e la business analysis, che permette di definire alcuni elementi fondamentali come gli obiettivi, le funzionalità, il target e il canale. Dopo di che si passa alla creazione del personaggio, ovvero alla definizione delle caratteristiche del chatbot quali nome, età, personalità, tone of voice e addirittura un'eventuale backstory. Si termina con la validazione, ad esempio della conversazione e dei mockup, e con la definizione del design del dialogo".

Aggiunge l'ad di Vidiemme: "La collaborazione con uno psicologo e un esperto di semantica è fondamentale per poter selezionare un set di parole chiave che verranno o meno usate dal candidato e che vengono tipicamente associate a una personalità incline al problem solving o dall’attitudine all’apprendimento e alla collaborazione. Un’ulteriore potenzialità del chatbot è quella di includere delle componenti di gamification che vanno a sostituire i test psicologici e attitudinali tipici di questa fase del processo di selezione.”

Mentre per Valsecchi il ruolo del chatbot, almeno in Italia, si concentra in particolare sulle domande killer legate alle hard skill, Randstad svela i potenziali sviluppi e affida grande rilevanza agli esperti in neuro linguistica.  “La maggior parte dei chatbot si basano su intelligenza artificiale e sul sistema della programmazione neurolinguistica che permette loro di avere un maggior grado di comprensione e di gestire alcune analisi dei sentimenti. I chatbot usano le valutazioni della personalità digitale per conoscere alcuni aspetti comportamentali del candidato mentre alcune piattaforme video sono addirittura in grado di misurare i tratti non verbali e l'analisi dei sentimenti di un candidato durante un'intervista”, puntualizza Ximo Soler Camada.

Lettura delle soft skillL’analisi del comportamento e delle soft skill, per Vidiemme, non va svolta dal chatbot ma dal recruiter umano. Tra queste vengono valutate curiosità (la scelta di candidarsi attraverso chatbot ne è già un indicatore) e dinamicità (viene calcolato il tempo di risposta, quindi, diciamo noi, meglio studiare l’azienda, prevedere le domande e non improvvisare), precisione e creatività, attitudine digital e flessibilità. Per quanto riguarda i presunti limiti di comprensione degli algoritmi Randstad ritiene che queste criticità saranno presto superate. Soler Camada osserva che “la programmazione sta affrontando il problema molto rapidamente. Se la si combina con un forte meccanismo di apprendimento automatico, il futuro è chiaro. I chatbot impareranno e utilizzeranno anche ironia e pensiero laterale. In realtà sembra che sia solo una questione di utilizzare un set di dati più grande per addestrare l'algoritmo”.

Etica e culturaIl chatbot disumanizza il rapporto di lavoro? “Per spezzare una lancia in favore della tecnologia si potrebbe osservare che il rischio di perdere i migliori talenti è presente anche affidandosi al cosiddetto human touch. Basta chiedersi a quante volte i nostri colloqui lavorativi siano stati influenzati da elementi come la simpatia personale verso l’intervistatore”, osservano da Vidiemme. Si potrebbe anche sottolineare che se solo il 30% dei curriculum viene letto dai recruiter, essere in cima alla pila è una lotteria (o un obiettivo di raccomandazione) che il chatbot elimina.

Un certo peso ha anche l’età anagrafica dei candidati. Valsecchi spiega che “il chatbot recruiter viene attualmente utilizzato dalle aziende per selezionare profili operativi e junior, candidati che dunque appartengono alla generazione dei Millenials e quella Z, molto abituati a chattare e poco propensi a leggere lunghi testi. Per questi motivi, la modalità di interazione conversazionale oltre essere quella a cui sono più abituati è anche quella che preferiscono: vogliono un’interazione che sia veloce, in cui le informazioni siano precise e puntuali”.

Randstad parla del concetto di human forward: “Non lavoriamo per sostituire le persone con i robot. È meglio esporsi in anticipo e far sapere al candidato che sta interagendo con un chatbot e che, se avrà successo, si confronterà con un selezionatore”. Sulla questione culturale Ximo Soler Casamada è ottimista: “Secondo recenti studi più del 50% degli intervistati preferirebbe interagire con un chatbot piuttosto che con un reclutatore. Quello che vediamo è un diverso tasso di utilizzo in base all’età. Hackathon e gamification sono modi molto intelligenti per mettere a proprio agio i candidati. E ottimi modi per raccogliere dati”.

I chatbot si propongono quindi come strumento di pre-screening facilitatore dell’attività dei recruiter, ma in futuro potranno essere impiegati anche nell’on boarding, guidando i lavoratori in situazioni complesse e liberandoli da troppi memo mentali. Restano le criticità dell’utilizzo dei dati e dell’eccessiva fiducia sulle possibilità degli algoritmi di leggere situazioni complesse. Anche Aidp segue molto da vicino gli sviluppi e farà uscire a breve una ricerca sul tema. Come sottolinea Isabella Covili Faggioli, “l’intelligenza artificiale non potrà sostituire la sensibilità umana nella valutazione di aspetti decisivi della ricerca del miglior profilo, come le cosiddette soft skill e la sua passione. La valutazione delle competenze umane rimane un aspetto di valutazione umana, aggiungo per fortuna”.