Management

I marketing officer italiani? Troppa operatività e poca pianificazione

  • Abbonati
  • Accedi
ricerche

I marketing officer italiani? Troppa operatività e poca pianificazione

Se si tratti di un limite non è così scontato riconoscerlo. Resta il fatto che sull’operato dei professionisti del marketing aleggia un interrogativo che riguarda gli investimenti elargiti dalle aziende per distribuire e massimizzare la marea di contenuti derivanti dalla proliferazione dei canali digitali. I progetti che nascono da consistenti budget di spesa, questo l’interrogativo, riescono davvero a supportare gli obiettivi di business? Alla domanda ha provato a dare una risposta Accenture Interactive con il suo primo rapporto State of Content dal titolo «Contenuto: L’H2O del Marketing», che ha coinvolto oltre mille manager nel mondo (Italia inclusa).

Il primo dato che balza all’occhio dello studio vede solo una porzione limitata dei Chief marketing officer italiani, il 33% per la precisione (rispetto al 45% a livello mondiale) dichiararsi abbastanza convinti del fatto che le risorse profuse per i contenuti digitali siano funzionali al business e quindi permetteranno di raggiungere gli obiettivi aziendali. Un’indicazione importante, anche in relazione all’entità degli investimenti profusi. La maggioranza degli intervistati (il 77% in Italia e il 73% nel mondo) ha affermato infatti che le relative organizzazioni spendono più di 50 milioni di dollari all’anno per la sola gestione dei contenuti.

L’abbondanza di informazioni a disposizione pone soprattutto serie difficoltà nella gestione delle attività quotidiane, a scapito dell’efficacia delle campagne. Una carenza che forse si spiega nella percentuale di intervistati - ben il 63% in Italia e il 53% a livello mondiale - che ha confermato di dedicare più tempo ai dettagli operativi (quali ad esempio la documentazione preliminare, il processo di approvazione dell’ufficio legale e della direzione, le attività di content tagging) che non alla pianificazione e alla valutazione dei progetti strategici di marketing e branding. Il problema è aperto ed è difficile pensare a prossima inversione di tendenza, visto e considerato che le proiezioni a due anni sono addirittura peggiori (in termini di quantità di tempo dedicato ai dettagli operativi) per il 70% dei professionisti italiani per l’80% nel complesso.

L’attenzione (eccessiva) dedicata agli aspetti operativi, si legge ancora nello studio, offusca la capacità di misurare l’efficacia dei contenuti, un’attività da considerarsi basilare per l'efficacia delle iniziative di marketing. Solo il 10% delle aziende (percentuale che sale al 16% nel mondo) analizza nello specifico l’impatto dei progetti di marketing rispetto a un parametro molto importante qual è il «customer lifetime value», e cioè l’indicatore che misura i profitti prevedibili in base alla relazione con i clienti, a partire dal loro comportamento d’acquisto.

Eppure, come sottolinea Alessandro Diana, Managing director di Accenture Interactive, «il contenuto è il bene più importante per il marketing, è letteralmente la linfa vitale della comunicazione, lo strumento che stimola l'engagement e supporta le vendite. Ma oggi, ironicamente, la crescita esponenziale dei contenuti digitali potrebbe diventare il principale ostacolo alla capacità del marketing di trarne valore».

Ma perchè gestire i contenuti risulta così difficile per le imprese? A questo quesito il rapporto risponde con i tre principali motivi che i Cmo campionati hanno evidenziato per giustificare le proprie difficoltà: mancanza di specializzazione, carenza tecnologica e problemi generali legati ai processi. Il 67% degli intervistati italiani, in proposito, rispetto al 78% dei colleghi di tutto il mondo, ritiene necessario un migliore allineamento con l’area It, partendo dal presupposto che oggi (più che mai) il marketing si affida alla tecnologia. La soluzione per ovviare all’impasse in cui rischiano di trovarsi molte aziende e relativi Cmo, fanno notare gli esperti di Accenture, potrebbe arrivare da una gestione centralizzata e organica dei contenuti, che permetterebbe ai professionisti di dedicare quasi il triplo del loro tempo alle attività di branding e marketing. Il rovescio della medaglia, però, evidenzia come solo il 6% delle imprese italiane abbia sperimentato ad oggi una gestione di questo tipo. E il dato calcolato su scala mondiale è pure peggiore e si ferma al 5%.

«Non c'è una risposta semplice alla necessità di riorganizzare la gestione dei contenuti, occorre innanzitutto una maggior coordinazione tra le varie business unit e aree geografiche - aggiuge Diana -. Si possono iniziare ad intraprendere dei piccoli cambiamenti all’interno dell’intera impresa, per esempio integrare il personale con competenze specifiche e investire in strumenti tecnologici all’avanguardia in un’ottica di lungo termine che valorizzi i contenuti digitali stessi più che la loro gestione. Certo è che i brand di successo adotteranno un approccio di questo tipo per essere competitivi». Il messaggio, rivolto ai Cmo e ovviamente a tutto il top management, appare alquanto esplicito.

© Riproduzione riservata