«Forse lo shock che sta vivendo l'editoria», scrive Barry Eisler sul Guardian, «porterà a una reazione».


La nuova realtà che racconta Eisler, da sempre uno dei pionieri e degli sperimentatori dell'editoria digitale, «è fatta da decine di migliaia di autori che si stanno presentando al pubblico con la scelta di far libri a basso prezzo con il self-publishing. Molti altri preferiscono il percorso tradizionale. Altri ancora la via ibrida, facendo un libro da soli, uno con Amazon e uno con un editore».


In ogni caso, argomenta Barry, la distribuzione digitale è disponibile per chiunque voglia usarla, allo stesso modo. E fornisce agli autori un'alternativa molto interessante. E, se ha senso aver timore di un cambiamento così veloce, non è molto ragiovole che gli editori guardino a queste novità con un approccio ostile. «Il digitale ha cambiato il ruolo degli editori. Prima erano un qualcosa di cui gli autori avevano bisogno. Oggi sono una soluzione che gli autori possono scegliere o non scegliere».


E non è una cattiva cosa. Non è detto che l'esistenza di altre possibilità renda gli editori inutili. E qui Eisler fa un esempio: «Nessuno "ha bisogno" di una BMW, eppure la BMW vende lo stesso milioni di auto a gente che ha piacere di guidarle». 

«No, l'editoria non sta morendo», Conclude, «è solo in evoluzione. Molti autori lo stanno comprendendo e stanno cambiando il loro approccio. Gli editori tradizionali dovrebbero fare lo stesso».

Il pezzo, che merita più di quanto la  mia sintesi racconti, si intitola: The digital truths traditional publishers don't want to hear.


Sempre giocando sul concetto di «verità», è interessante anche questo post di Tom Chalmers su Futurebook. Il tema è  sempre lo stesso: cercare di mettere ordine tra editoria tradizionale e self-publishing. Tom esamina alcuni concetti -e alcuni luoghi comuni- cercando di capire cosa è vero e cosa meno.

Ad esempio l'idea che «il successo di un autore che fa self-publishing implica l'inizio della fine per gli editori», secondo Chalmers non è vera. Mentre invece è realistico pensare «che gli editori devono essere molto meno conservativi».

Ma c'è molto di più da leggere, vale la pena: Self -Publishing vs Traditional Publishing – Time For the Truth .


A questo punto, per completare il quadro, può essere utile dare un'occhiata all'esperienza di Ted Heller, raccontata su Salon. «Ho pubblicato tre romanzi con grandi case editrici e ho avuto buone recensioni», scrive Ted. «Ora che sono l'editore di me stesso, i media importanti non vogliono saperne di me».


«Te lo dico: il self-publishing non è divertente», aggiunge, «perché i giornali non recensiranno mai un libro che non sia pubblicato nel Modo Analogico Della Vecchia Scuola».  È un vecchio mantra, se tutti possono pubblicare un libro, non è poi automatico che tutti possano farcela ad avere successo. Ci riescono i più bravi, quelli con le migliori connessioni, quelli col miglior libro.

La vicenda di Heller è una buona testimonianza di come la tecnologia abiliti gli autori a lavorare in modo diverso, ma senza determinare il risultato. Talento, capacità, rete di relazioni contano tantissimo.

Ma leggi tu stesso: The future is no fun: Self-publishing is the worst.


Per compensare, come lettura bonus questa settimana alcuni casi di successo. Il post è di Joanna Penne e si intitola: Lessons Learned From Bestselling Indie Authors On Writing And Book Marketing.


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