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Buona Domenica e ben [ri]trovati anche questa settimana. Per descrivere lo stato dell'arte dell'informazione nostrana crediamo davvero che non ci possa essere miglior suggestione se non quella che arriva dal Cortile di Francesco. Evento al quale la scorsa settimana Carlo De Benedetti, tra gli altri, è intervenuto per parlare del fututo dei giornali. Ebbene, il quotidiano di cui è il padrone riesce a sbagliare e travisare completamente il suo intervento sul tema, virgolettandolo.  Ah, signora mia...

Il super panel non stravolge la TV - Dando una occhiata ai dati di ascolto dei principali network televisivi in Italia nelle prime tre settimane di settembre, si può dire che il super panel di Auditel introdotto al 30 luglio con un campione di 16 mila famiglie e 41 mila individui  - il triplo rispetto al passato - non ha per ora stravolto le gerarchie del passato. C’ era molta curiosità sul mercato per capire se la nuova metodologia Auditel avrebbe rivoluzionato sin da subito i consolidati equilibri. Ma analizzando i dati, e confrontandoli con quelli delle prime tre settimane del settembre 2016 [raccolti con la vecchia metodologia], sul target individui  - ovvero dai 4 anni in su - Rai continua a dominare, con Rai Uno di gran lunga primo canale assoluto. Nell’ intero panorama televisivo italiano, i nove canali generalisti ai primi tasti del telecomando raccolgono, dal 1° al 21 settembre, il 56.63% di share sul totale giorno, rispetto al 57.27% di share nello stesso periodo del settembre 2016. Gli altri canali del digitale terrestre pesano invece per il 26,58% di share [erano al 25,64%], mentre i canali pay di Sky e Fox valgono il 5,65% [5,73% nel 2016]. Non ci sono, quindi, enormi spostamenti. Come si suol dire, sapevatelo!

Il “caso” Freeda – Freeda è un social magazine che ricorda il Cosmopolitan dei primi tempi. La rivista in home page ha le icone che rimandano ai diversi canali social e poco più. Insomma, una “landing page” che rimanda a Facebook e Instagram per il progetto editoriale che si propone di diventare il “punto di riferimento per le donne tra i 18 e i 34 anni”. Freeda ha sposato una linea editoriale che è ormai sempre più comune nell’informazione contemporanea che viaggia sui social, cioè quella di avere dei contenuti progettati e pensati per essere fruiti direttamente su Facebook come instant articles. È un po’ il modello usato da AJ+, Buzzfeed o Vice: ridurre al minimo i link esterni e lunghe porzioni di testo e puntare tutto su video di 3 o 4 minuti che partono automaticamente scrollando il proprio newsfeed [e che sono sempre sottotitolati, in modo da poter essere visti anche sul lavoro senza audio] con velocità di caricamento che funzionano bene anche per chi si collega col 3G. Secondo l’intervista rilasciata da l’editor in chief, Daria Bernardoni, il modello di business è basato sull’idea di offrire alle aziende «la possibilità di entrare in contatto con il target donne 18-34 attraverso attività di marketing e comunicazione a 360°. Crediamo infatti che qualunque brand desideri far parte delle conversazioni delle donne di questa generazione lo possa fare in modo autentico e rilevante soltanto tramite Freeda, perché Freeda è già il motore delle loro conversazioni». La società che ha lanciato Freeda è Ag Digital Media e i due – maschi – che l’hanno fondata sono Andrea Scotti Calderini, ex di Publitalia dove dirigeva la divisione Branded entertainment, e Gianluigi Casole che fa parte di Holding Italiana Quattordicesima, cioè«la cassaforte del figlio maschio minore di Berlusconi e delle sorelle Barbara ed Eleonora». Dentro la società che pubblica Freeda ora sono entrati anche Ginevra Elkann [sorella di John e Lapo] e una società che si chiama FW, di cui fa parte il produttore televisivo Lorenzo Mieli [figlio di Paolo Mieli, presidente di Rcs]. Dalle informazioni reperite pare che per il progetto siano stati allocati 4 milioni di investimenti ed infatti la testata, che è già un successo, conta la bellezza di 31 dipendenti. Nell’era in cui i publisher annaspano alla ricerca di un modello di business si tratta indubbiamente di un progetto da tenere attentamente sotto osservazione. 

Il prodotto è la base ma è il processo a creare valore aggiunto - Secondo l’Osservatorio Startup hi-tech del Politecnico di Milano, le imprese innovative in ambito fashion finanziate nel 2016 sono state, infatti, solo 7 [Lanieri, Sconto Digitale, Armadio Verde, Velasca, Martha’s Cottage, Orange Fiber e Re-Bello], per un valore totale di poco superiore a 7 milioni di euro. Una cifra su cui pesa, per quasi la metà, il finanziamento da 3 milioni di euro, raccolto un anno fa da Lanieri: la piattaforma online di abiti da uomo su misura che, proprio in questi giorni, è diventata il primo brand fashion-tech ad accettare pagamenti in bitcoin. Quelle che invece hanno attirato l'attenzione e l'interesse degli investitori si concentrano più sul processo che sul prodotto. Come in questo caso, che ci pare un ottimo esempio al riguardo. Vale ormai in tutti i settori, non solo nel fashion, ovviamente. Fatti una domanda e datti una risposta.  

Un esame di coscienza digitale - Alla fine, cadiamo sempre lì: ci aspettiamo che una macchina, un algoritmo o un tool risolvano i nostri problemi digitali. Non solo. Tutto deve avvenire a patto che ci costi poca fatica e senza alcun esborso. Vogliamo ambienti digitali puliti, ma non vogliamo faticare perché lo siano. E mentre aspettiamo che tutto si risolva quasi magicamente, ci ripetiamo: i giganti del web devono fare qualcosa. Pensate a che rivoluzione sarebbe se ognuno di noi – nessuno escluso – analizzasse ogni giorno anche la qualità dei suoi comportamenti su web e social. Il digitale, infatti, non è un'altra vita o un altro mondo. Il digitale siamo noi: qui e ora. Un ambiente che rivela più di altri chi siamo e come sono le persone che incontriamo ogni giorno in Rete. Social e web, ormai, non sono più una novità. Quindi, non abbiamo più alibi. Dobbiamo crescere. Tutti. Imparare a essere più responsabili anche delle nostre azioni digitali. Sperare che una macchina, un algoritmo o un tool decidano per noi cosa è giusto e cosa è sbagliato può essere molto comodo, ma è pericolosissimo. Ci riduce al ruolo di pedine, di bambini, di sudditi. La tecnologia è indubbiamente un fattore abilitante ma forse per troppo tempo ci si è concentrati solamente su questa. È ora di [ri]mettere al centro l'uomo, le persone, e, ça va sans dire, la cultura, nel senso più ampio del termine. Lo spiega, bene, partendo da un'altra prospettiva, Fabio Chiusi su l'Espresso. 

Mi vien che ridere - «Fare l’editore oggi è molto difficile, è cambiato il modo di fruire l’informazione, per questo bisogna investire guardando al digitale e soprattutto capire ogni giorno che i nostri lettori hanno necessità diverse», ha detto la presidente del Gazzettino Azzurra Caltagirone durante le celebrazioni per il 130° del quotidiano del Nord-Est in cui è stato presentato il restyling del giornale cartaceo realizzato, anche, grazie ad una nuova rotativa dal costo di 5 milioni di euro. Del resto, da tempo, basta una rapida occhiata alla Fanpage del giornale per capire quale sia l'approccio al digitale. Come nel tormentone del 1970 di Lando Buzzanca [se siete giovani guardatevelo], mi vien che ridere, ma anche da piangere...
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