(ANSA) - MILANO, 25 AGO - Nell'era degli acquisti online, delle ricerche sul web, dei dispositivi connessi, delle scatole nere, dei robot e dei sensori viene generata un'enorme mole di dati, che costituiscono una miniera di ricchezza e possono creare valore in quasi tutti settori, dall'assicurativo al bancario, dall'industria alla grande distribuzione e al commercio elettronico, fino alla sanità, ai trasporti e all'energia. "La trasformazione digitale delle imprese rappresenta la quarta rivoluzione industriale e segna il percorso globale verso un'economia basata sui dati", spiega Tommaso Faelli, membro del Focus team dedicato al diritto di tecnologia, comunicazioni e digitale dello studio Bonelli Erede. "La grande mole di dati, relativi ad esempio al comportamento online, allo stile di guida, di vita o di consumo, all'interazione dell'uomo con dispositivi elettronici oppure all'interazione tra dispositivi nel quadro dell'Internet of Things, costituisce la base statistica per la realizzazione di modelli predittivi di eventi e comportamenti".
Ma di chi sono i big data? Chi può utilizzarli, sfruttarli e trarne benefici economici? Il tema è già stato affrontato a livello europeo a proposito di una serie di dati raccolti dagli enti pubblici, che la direttiva europea, cosiddetta "open data", prescrive agli Stati di rendere accessibili a chiunque. Resta invece aperto, e in discussione, l'impiego dei dati grezzi nell'iniziativa economica privata. "Il nodo - aggiunge Faelli - riguarda in particolare i diritti esclusivi sui dati grezzi", in quanto la loro protezione è "ancora incerta". I dati grezzi infatti non sono coperti dai diritti sulle banche dati, né da quelli previsti in materia di know how e informazioni commerciali. Per cui resta il tema del titolare dei diritti esclusivi: è chi ha materialmente generato i dati, oppure chi ha investito nella loro creazione e raccolta, oppure nessuno di questi, e quindi c'è una libertà d'uso? "Attualmente il dibattito sull'esistenza di diritti esclusivi sui dati grezzi è all'inizio", ma è essenziale definire "una corretta prospettiva nel percorso verso un'economia basata sui dati", sostiene l'avvocato, spiegando che anche la legge sulla privacy da sola non disciplina l'intera materia. Infatti, "la legge sulla privacy - arriva solo laddove ci sono dati prodotti da persone in forma non anonima, ma il big data è fatto da molti più dati, provenienti da persone in forma anonima oppure da macchine".
Se chi sfrutta questi dati anonimi o robotici deve comunque chiedere il consenso delle persone - o dei proprietari delle macchine - che li hanno creati, allora dovrà condividere i benefici economici derivanti dai dati. Ma "se mettiamo troppi lacci, richieste di consensi e di distribuzione dei profitti in maniera allargata, il rischio è che gli investitori siano disincentivati e il progresso legato ai Big Data e all'intelligenza artificiale rallenti, perlomeno in Europa". Per Faelli questa "diventa una delle scelte politiche dei prossimi anni", perché "il punto di equilibrio tra diritti di esclusiva e libertà di iniziativa economica è uno dei fattori fondamentali di uno sviluppo sostenibile". Nel frattempo, "le strutture contrattuali - conclude - sono lo strumento più certo per regolare l'attribuzione e la condivisione del valore economico dei dati".(ANSA).