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Mindfulness e sport: lasciar andare e…vincere!

Attraverso l'utilizzo della mindfulness nello sport, l'atleta troverebbe un modo per affrontare gli ostacoli interiori al raggiungimento del risultato

Di Patrizia Vaccaro

Pubblicato il 08 Nov. 2017

Aggiornato il 01 Lug. 2019 14:41

La mindfulness sta diventando una pratica sempre più diffusa in ogni ambito, da quello clinico a quello aziendale passando anche per la psicologia dello sport.

 

Gli atleti nell’affrontare una gara mettono in atto una serie di strategie psicologiche per gestire lo stress determinato dalla competizione (emozioni negative, paura di sbagliare/perdere, pensieri disfunzionali che possono influenzare negativamente la loro performance). In aggiunta ci possono essere alcune caratteristiche di personalità o l’adozione di stili di coping evitanti o, ancora, elementi psicopatologici, che possono peggiorare ulteriormente la prestazione (Birrer, 2012).

Fino a qualche anno fa all’interno della psicologia dello sport veniva utilizzato un programma di terapia cognitivo-comportamentale (CBT) per potenziare l’autocontrollo rispetto a pensieri ed emozioni che avrebbero potuto inibire la performance (Moore, 2009)

Gli studi più recenti invece hanno cercato di introdurre un programma basato sulla mindfulness e sull’accettazione.

Nel 2012 Birrer e i suoi collaboratori, hanno cercato di elaborare un modello che spiegasse la maggiore efficacia della Mindfulness rispetto al programma tradizionale, sulla base della letteratura sulla Mindfulness e gli studi sulla psicologia dello sport.

La pratica mindfulness

Ma innanzitutto, cos’è la mindfulness? La parola mindfulness, in italiano consapevolezza, traduce il termine Vipassana, il nome in lingua pali di un’antica tecnica di meditazione buddista. E’ stato John Kabat Zinn, un biologo molecolare statunitense a ideare nel 1979 un protocollo scientifico (Mindfulness based-stress reduction) a partire dalle antiche tecniche della presenza mentale, protocollo la cui efficacia è stata confermata in termini sperimentali e ampliata in diversi ambiti.

La pratica mindfulness va distinta da quella che è stata definita come dispositional Mindfulness (DM) perché la prima indica un metodo che va coltivato, mentre la seconda indica la tendenza a “Essere mindfulness” una propensione innata  alla consapevolezza intenzionale, ovvero l’ essere consapevoli dei propri pensieri e sentimenti nel momento presente.

Gli atleti con maggior pratica Mindfulness ed elevata dispositional Mindfulness migliorano il livello di strumenti psicologici richiesti attraverso diversi meccanismi che agirebbero come mediatori tra la mindfulness e la performance finale.

In particolare si tratta di:

  • Attenzione “nuda”: la Mindfulness migliora l’attenzione e le abilità percettive e cognitive. Gli atleti si distraggono di meno, sono più capaci di controllare la loro attenzione, di concentrarsi e di direzionare l’azione sull’obiettivo. Se l’attenzione non si disperde su contenuti irrilevanti, c’è una maggior lucidità e quindi efficacia nell’ottenere il risultato migliore.
  • Attitudine: atteggiamento della pratica di consapevolezza (accettazione, non giudicante, apertura, rispetto di sé e non reattività). la pratica della consapevolezza aumenta l’accettazione esperienziale (Hayes et al., 1999). Gli atleti accettano una discrepanza di prestazioni (prestazioni inaspettate e prestazioni inattese) non mettendo in atto delle risposte reattive che incidano sulle loro abilità motorie.
  • Chiarimenti dei valori: la pratica di consapevolezza porta a una chiarificazione dei valori personali (Shapiro et al., 2006). Gli atleti potrebbero identificare i conflitti tra i loro valori personali e il loro comportamento nel raggiungimento di un risultato o nella soddisfazione di un bisogno.
  • Autoregolazione e regolazione delle emozioni negative. Gli atleti possono diventare più capaci a gestire la rabbia, la paura e altre emozioni negative. La regolazione dell’arousal, le capacità di coping, la comunicazione e la capacità di leadership migliorerebbero con la Mindfulness.
  • Chiarezza circa la propria vita interiore: la Mindfulness insegna a vedere con chiarezza i nostri movimenti interiori e a essere meno reattivi in presenza di emozioni negative. Una migliore consapevolezza ha un effetto positivo sullo sviluppo personale e sulla vita, sul sé così come sulla capacità di comunicazione, di coping e di leadership.
  • Esposizione: la pratica incide sull’esposizione in particolare permette di rimanere in contatto con le esperienze spiacevoli senza evitarle. In termini sportivi, significa che gli atleti possono essere maggiormente in grado di gestire un momento stressante o spiacevole durante una gara o durante l’allenamento.
  • Flessibilità cognitiva, emotiva e comportamentale:l’adattamento e flessibilità nel rispondere all’ambiente come risultato della MD  permette il consolidamento dello sviluppo personale e degli strumenti di comunicazione e leadership.
  • Non-attaccamento: ovvero la credenza che ciascuno di noi possa essere felice è indipendente dall’ottenere risultati positivi, questo è il risultato della pratica Mindfulness.
  • Minore rimuginio: la Mindfulness riduce il rimuginino o la sensazione di incontrollabilità del rimuginino.

Questi meccanismi vanno quindi  a influenzare una serie di abilità utilizzate dagli atleti tra cui le abilità di coping, motivazionali, gestione del dolore, abilità attentive, legate all’arousal, percettive, cognitive, motorie e comunicative. La riduzione del rimuginio sembra essere quello che produce effetti su una quantità maggiore di abilità.

La performance ad alti livelli

Per dimostrare l’efficacia degli interventi di Mindfulness sugli atleti bisogna però comprendere meglio cosa sia la performance ad alti livelli per la psicologia dello sport.

Essa può essere compromessa da alcuni fattori psicologici (non necessariamente patologici). Tra gli altri, gli inibitori della performance includono anche le aspettative irrealistiche spesso determinate da una personalità perfezionistica o problematica, ansia da competizione, timore di sbagliare, tensione percepita, comportamenti evitanti, problemi relazionali, difficoltà di vita….tutti questi elementi abbassano la performance.

Al contrario uno stato psicofisico caratterizzato da processi orientati all’obiettivo permettono una performance eccellente. Durante la gara gli atleti adottano una serie di comportamenti automatici in risposta a specifiche situazioni. Questo processo è chiamato adattamento alla discrepanza e consiste nell’automonitoraggio, nell’autovalutazone e nella scelta del comportamento migliore (più adattivo).

Uno degli effetti della mindfulness è proprio quello di modificare il modo con cui le persone si relazionano ai propri stati interni intesi come pensieri ed emozioni. Secondo la psicologia buddista, diminuisce la proliferazione mentale, cioè l’abituale reazione di attaccamento o avversione a quegli stati che possono essere giudicati come piacevoli, spiacevoli o  neutrali ( Grabovac, 2011).

Mindfulness e sport: come è possibile il connubio tra meditazione e prestazione sportiva?

Ma come si può mettere insieme la Mindfulness che si fonda sul l’accettazione del qui e ora con la prestazione sportiva?

Se attraverso la Mindfulness si cerca di liberarsi dal desiderio osservando gli attaccamenti, ciò può sembrare in contraddizione con l’atleta che vuole vincere la gara. È un paradosso che forse può essere spiegato dalle parole di un famoso tennista che perse in modo del tutto inaspettato, visto il vantaggio nell’ultimo set, durante una semifinale degli US Open. Il suo commento è stato: “ho pensato, è fatta. Prima di giocare l’ultimo match ball ero molto eccitato all’idea che le cose andassero così bene. 15’ dopo ho perso la partita. Perdere così è veramente deludente, anche perché avevo capito che il mio avversario aveva già rinunciato alla vittoria nella sua testa“.

Un altro nuotatore, dopo aver conseguito l’ennesimo record mondiale, ha affermato: “chi pensa di vincere ha già perso“.

In queste affermazioni c’ è il punto di incontro tra lo sport e la Mindfulness: focalizzare l’attenzione sul momento presente accettando ciò che arriva in quel momento, senza fare previsioni su quello che accadrà. Stare lì con un’esperienza spiacevole o con un dolore fisico o con un pensiero che arriva o con l’eccitazione che travolge.

Stare lì. Accettare e lasciare andare senza aspettarsi nulla sul dopo.

A partire da questo modello, in una ricerca svedese del 2107 si cerca di fare un passo in più. In particolare si fa riferimento a due studi che indagano il rimuginio e la capacità di regolazione emotiva come mediatori tra la consapevolezza e l’uso di strategie di coping adeguate nello sport.

Si ipotizza che in un contesto sportivo la mindfulness non agisca direttamente sulla prestazione, ma attraverso altre variabili. In particolare la tesi di fondo è che l’ansia da competizione medi tra la naturale predisposizione alla mindfulness e la performance sportiva. Dunque, il risultato finale sembra essere influenzato indirettamente attraverso una riduzione del rimuginio, ovvero un pensiero negativo incontrollabile, ripetitivo e autocentrato, e un miglioramento della regolazione emotiva.

Quest’ultima non si riferisce tanto al controllo emotivo, quanto alla capacità di gestire, adattarsi e rispondere alle emozioni. Perché ciò avvenga occorre essere consapevoli, riconoscere e accettare le proprie emozioni. In secondo luogo occorre mettere in atto comportamenti finalizzati al risultato e inibire comportamenti impulsivi come risposta reattiva alle emozioni negative. Ciò comporta una certa flessibilità o uso di strategie appropriate per modulare l’intensità delle risposte emotive. Infine, occorre lavorare sull’accettazione degli stati negativi come facenti parte della vita.

Come si legano allora rimuginio, regolazione emotiva e mindfulness nello sport? In questi studi vengono esaminati 244 giovani atleti in uno studio trasversale e 65 nello studio longitudinale. Tutti vengono sottoposti a questionari sulla regolazione emotiva, rimuginio e sull’essere consapevoli. In entrambe le ricerche risulta che gli atleti con una predisposizone innata alla mindfulness avevano una maggiore capacità di comprendere i propri stati interni, una minore reattività, una maggiore capacità di autoregolazione in situazioni di stress e quindi una migliore performance.

D’altra parte negli anni 70 Gallwey aveva già introdotto l’utilità della meditazione o meglio della consapevolezza, nel miglioramento della gestione dello stress nello sport ispirandosi alla filosofia zen e alla psicologia umanistica. Gallwey nel “Il gioco interiore del tennis” parlava di due sfide: la partita con l’avversario e quella interiore con i propri stati, ovvero il dubbio su se stessi, l’insicurezza, l’ansia e il conseguente calo di concentrazione.

Già allora dunque il punto di partenza era proprio un miglioramento della consapevolezza con l’obiettivo di trovare il modo migliore per affrontare gli ostacoli interiori al raggiungimento del risultato.

Lo stesso Kabat Zinn nel 1985 aveva messo a punto un training di Mindfulness per gli atleti di canottaggio futuri olimpionici. I ricercatori hanno riferito che gli atleti avevano superato le aspettative dell’allenatore in riferimento sia all’esperienza che avevano sia per le abilità fisiche. Gli stessi atleti hanno affermato che la Mindfulness li aveva aiutati a svolgere al loro pieno potenziale. Tuttavia, nonostante i buoni risultati questo programma era stato accantonato nella psicologia dello sport per i due decenni successivi.

Negli ultimi dieci anni sono stati sviluppati dei programmi di training basati sulla Mindfulness e sono stati compiute una serie di ricerche sugli atleti per testarne l’efficacia in modo più rigoroso.

Insomma anche in questo ambito, imparare a stare fermi nella tempesta, qualunque forma essa prenda, ancorati al corpo e al respiro, sembra essere la direzione per poter affrontare le sfide che arrivano.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Birrer  D, Röthlin P, Morgan G., (2012), Mindfulness to Enhance Athletic Performance: Theoretical Considerations and Possible Impact Mechanisms, Mindfulness, 3; 325-346.
  • Gallwey, W. Timothy (1974). The Inner Game of Tennis (1st ed.). New York: Random House.
  • Gardner, F. L., & Moore, Z. E. (2007). The psychology of enhancing human performance. The mindfulness–acceptance–commitment approach (MAC). New York, NY: Springer.
  • Garbovac A., Lau M, Willem B., (2012), Mechanisms of Mindfulness: A Buddhist Psychological Model, Mindfulness, 2, 154-166. DOWNLOAD
  • Hayes, S. C., Strosahl, K., & Wilson, K. G. (1999). Acceptance and commitment therapy: an experiential approach to behavior change. New York: Guilford.
  • Moore, Z. E. (2009). Theoretical and empirical developments of the Mindfulness–Acceptance–Commitment (MAC) approach to per- formance enhancement. Journal of Clinical Sport Psychology, 4, 291–302.
  • Kabat-Zinn, J. (1982). An outpatient program in behavioural medicine for chronic pain patients based on the practice of mindfuness meditation: theoretical considerations and preliminary results. General Hospital Psychiatry, 4, 33–42.
  • Kabat-Zinn, J. (1990). Full catastrophe living. Using the wisdom of your body and mind to face stress, pain and illness. New York: Dell.
  • Kabat-Zinn, J., Beall, B., & Rippe, J. (1985). A systematic mental training program based on mindfulness meditation to optimize performance in collegiate and Olympic rowers. Paper presented at the World Congress in Sport Psychology, Copenhagen, Denmark, June
  • Shapiro, S. L., Carlson, L. E., Astin, J. A., & Freedman, B. (2006). Mechanisms of mindfulness. Journal of Clinical Psychology, 62, 373–386.
  • Josefsson T.,  Ivarsson A.,l Falkevik,(2017), Mindfulness Mechanisms in Sports: Mediating Effects of Rumination and Emotion Regulation on Sport-Specific Coping, Mindfulness, 8, 1354-1363.
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