Il Jobs Act e la torta di compleanno di pere e mele

Sappiamo che siete piuttosto stanchi e stufi di leggere quotidiane confutazioni ad altrettanto quotidiane panzane di fonte governativa: non possiamo biasimarvi per questo. Ma riteniamo comunque utile segnalarvi una piccola grande aberrazione, di quelle che ad alta frequenza ricorrono sulla nostra stampa (con l’iniziale minuscola ed a volte maiuscola), e che ogni volta ci spingono alla fatal domanda: sarà ignoranza, malafede o, più verosimilmente, un mix delle due, in una potente sinergia, nel paese che è così antropologicamente avverso al fact checking ma anche alla logica, alla cultura dei numeri e più in generale a quella scientifica? Non allarghiamoci troppo con simili elucubrazioni, però.

Osservate questo pezzullo, invero un po’ stitico. Già il titolo è “suggestivo”, nel senso che suggerisce qualcosa. Al solito (in questo paese) una causalità dove invece c’è una correlazione, ad esempio. Dal pezzo apprendiamo che “il governo può sorridere” perché “a un anno esatto dal debutto del Jobs Act”, i licenziamenti nel 2015 sono diminuiti dell’8,4% sull’anno precedente, “nonostante le tutele crescenti abbiano mandato in soffitta parte delle tutele garantite dall’articolo 18”. Segue fedele citazione (senza specificare da chi esattamente provenga, dentro il partito) dell’immancabile tripudio piddino: «Cambiano le norme sul lavoro e la catastrofe annunciata non avviene, anzi». Che, a sua volta, con logica e causalità c’entra come i cavoli a merenda, e va dritta in finale contro il generatore automatico di banalità della segretaria della Cisl, Annamaria Furlan.

Tralasciamo anche il secondo e terzo paragrafo e giungiamo al quarto: “la simulazione”. Qui entrano in gioco le elaborazioni della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, effettuate su dati ministeriali. E che cosa hanno scoperto, i consulenti? Che dal 7 marzo (data di entrata in vigore del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti), al 30 settembre 2015, “per ogni 100 contratti stipulati due lavoratori in più hanno conservato il posto”. In caso non aveste afferrato il senso della frase ed il “suggerimento” in essa contenuta, potete andare a leggere Repubblica. Stesso titolo “suggestivo” ma l’informazione viene cucinata un filo meglio, almeno nei numeri. Dal 7 marzo al 30 settembre 2015

«[…] per ogni 100 contratti a tempo indeterminato cessati – precisano [i consulenti del lavoro, ndPh.] – il 28,1% sono terminati per licenziamento economico o disciplinare (25,7% il primo, 2,4% il secondo). Nel 2014, per ogni 100 analoghi contratti cessati con l’applicazione dell’articolo 18, la quota dei licenziamenti era pari al 31,3%, dei quali 29% per licenziamento economico e 2,3% per licenziamento disciplinare. Dal punto di vista della sopravvivenza dei contratti a tempo indeterminato – dicono i Consulenti – risulta che, in regime di tutele crescenti, per ogni 100 contratti stipulati due lavoratori in più hanno conservato il posto di lavoro»

Vi risulta più chiaro, così, almeno nei numeri? Lo speriamo, noi diremmo di si. Ma quello che forse vi sfugge è l’audace operazione di mescolanza di pere e mele che i consulenti del lavoro mettono nella torta che regalano al governo Renzi, per festeggiare il primo compleanno del Jobs Act. Seguite il filo: nel 2015 l’economia italiana è andata oggettivamente meglio che nel 2014. Il Pil è cresciuto dello 0,8 o dello 0,6% (a seconda che siate organizzatori del party con trenino o la questura). Fisiologico e fatale che, in un quadro di crescita economica pur lieve il mercato del lavoro andasse altrettanto lievemente meglio. E infatti, nel periodo del 2015 considerato, i licenziamenti economici sono stati inferiori, sul totale delle cessazioni. Bene. A voi pare che questo sia “merito” del Jobs Act o della “ripresa” economica?

Ma soprattutto, voi pensate davvero che le cessazioni di contratti a tempo indeterminato avvenute nel 2015 riguardassero contratti stipulati in regime di Jobs Act, quando la quasi totalità della popolazione di lavoratori dipendenti a tempo indeterminato si trova ancora nel regime delle tutele del vecchio articolo 18? Ecco la torta di pere e mele confezionata per celebrare il compleanno del Jobs Act. In particolare, il commento dei consulenti del lavoro è un capolavoro di “ambiguità costruttiva”:

«(…) in regime di tutele crescenti, per ogni 100 contratti stipulati due lavoratori in più hanno conservato il posto di lavoro»

Che significa questa frase, esattamente? Due possibilità, a filo di logica. La prima può fare riferimento al sottoinsieme di contratti a tempo indeterminato attivati e cessati in regime di Jobs Act, cioè alle persone che sono state assunte in regime di Jobs Act ed hanno perso il posto nello stesso regime. Se questa è la chiave di lettura, quel 2% di “sopravvissuti” in più si spiega non col Jobs Act quanto con le migliori condizioni congiunturali e quindi anche del mercato del lavoro. Quindi, di che parliamo? La seconda interpretazione potrebbe riferirsi al fatto che, nel periodo del 2015 osservato, era in vigore il Jobs Act. Ma ovviamente la quasi totalità della popolazione di dipendenti a tempo indeterminato non era in regime di Jobs Act. Quindi, di che (ri)parliamo? Intuitivamente, la prima chiave di lettura assegna alla elaborazione dei consulenti del lavoro un voto sufficiente in termini di buona fede ed un voto molto basso in termini di competenze logico-statistiche. La seconda chiave di lettura assegna voti da bocciatura ad entrambe le discipline. Fate vobis.

Come che sia, emerge prepotente la nuova tendenza del dibattito pubblico italiano, che invero è una sottospecie della assai scarsa alfabetizzazione logica e numerica del paese, al servizio della forsennata propaganda governativa. Per tutto il resto, c’è sempre questo meraviglioso sito.

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