Milano, 7 febbraio 2016 - 23:19

I segnali che arrivano
dalla città della nazione

Le primarie sono una scienza occulta ma ogni voto ha la sua storia. Hanno pesato
il successo di Expo (Milano ha fatto un salto) e le incertezze di Pisapia

di Venanzio Postiglione

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Se ha un senso, se ha un presente, se ha un futuro, se va da qualche parte, una cosa è certa. È nato a Milano, ieri sera, dopo una giornata di freddo e di pioggia: il «partito della nazione» ha preso l’aspetto di Beppe Sala. Che da moderato ha vinto (non stravinto) le primarie del centrosinistra, è passato da Expo al Pd, ha incassato la benedizione di Renzi, ha superato la stagione arancione di Giuliano Pisapia, ha riproposto l’idea (controversa) della politica fatta dai manager.

In poco più di un mese. Dalla decisione di candidarsi prima di Natale alla campagna nelle periferie, dai dibattiti nei teatri fino a questo risultato. Senza sorprese, alla fine. Il 42 per cento di chi ha votato alle primarie del centrosinistra ha scelto lui. Il 34 ha indicato Francesca Balzani, sospinta da Pisapia, e il 23 ha preferito Pierfrancesco Majorino, sospinto da se stesso.

Le primarie sono una scienza occulta. Per anni si è detto e scritto che vince sempre il più radicale (è successo anche a Milano, l’ultima volta, per non parlare di Roma con Ignazio Marino). Ma ogni voto ha la sua storia. Con il contesto politico. La persona. Gli avversari. E qui hanno pesato due imprevisti, diciamo così. Il primo punto è il successo di Expo: si discuterà ancora a lungo (come è giusto) di bilanci e dintorni, ma che Milano abbia fatto un salto è acquisito. Poi si può anche pensare che sia stato tutto un disastro e che dobbiamo pentirci e piangere, però si passa dalla politica al cabaret. Il secondo punto è legato alle incertezze di Pisapia e del mondo arancione. Il sindaco non si è ricandidato: delusione di tanti, ma le scelte personali si rispettano. La strada possibile? Indicare subito il successore, prima o durante Expo (non dopo), tenere unita la giunta, convincere il Pd. Quando Renzi ha battezzato Sala, il quadro è cambiato. Sette assessori hanno scelto l’uomo di Expo, Majorino non ha più lasciato il campo di gioco, Balzani ha fatto il possibile e anche oltre, ma la salita era troppo ripida. La politica vive di tempi.

Sala ha spiegato e spiegherà sempre che non rappresenta il partito della nazione. Fa bene, certe cose non si dicono. Però il manager, il direttore generale di Letizia Moratti, è proprio il moderato che scavalca i paletti del Pd dall’esterno e scopre un partito nuovo, con tanti «ex» che trovano posto e un po’ di «interni» che potrebbero lasciare. È l’idea di Matteo Renzi, già da un po’. Sfondare al centro, non inseguire la sinistra (anzi). Il progetto del sindaco di Milano era l’esatto opposto: l’unità della coalizione, sempre, fino ad arrivare a Sel e dintorni, una federazione della sinistra lontana dal centrodestra e dai suoi fuoriusciti. Con un solo ostacolo. L’illusione che potesse esistere un modello Pisapia senza Pisapia. La non ricandidatura (legittima) è invece la frattura politica che cambia lo scenario di Milano e non solo: tra il voto a sorpresa del 2011 e le primarie di ieri ci sono Renzi premier e la stagione di Expo.

E la città si gode una notte, almeno una notte, da laboratorio. Rispolvera l’antica frase di Gaetano Salvemini («Quel che oggi pensa Milano domani lo penserà l’Italia», 1899) e ritrova le tappe degli «anticipi» politici. Il 1961 con il sindaco Gino Cassinis, socialdemocratico: a Palazzo Marino nasce il centrosinistra. In Italia passerà un altro anno. Nel ’75 il Pci fa il pieno di consensi e il sindaco socialista Aldo Aniasi lancia la giunta rossa. Un giovane Bettino Craxi conquista Milano e poi l’Italia, fino a diventare presidente del Consiglio e a immaginare il riformismo. Alle Comunali dell’85 il Garofano sfiora il 20 per cento, «Milano da bere» è una città che vuole vincere, non importa come. Nell’89 il congresso del Psi all’Ansaldo si apre con la piramide di Panseca: sembra la metafora del trionfo, poi sarà l’immagine del tramonto. Tocca a Tangentopoli, nel ’92, che travolge tutto, portando un sindaco leghista a Palazzo Marino (Marco Formentini, 1993, con i lumbard al 40%) e aprendo la strada a Silvio Berlusconi. E siamo già ai nostri anni, con Gabriele Albertini, sindaco-imprenditore, Letizia Moratti, sindaco-manager, e poi Giuliano Pisapia, che sconfigge prima il Pd e poi i moderati.

E gli avversari di Sala? Se le parole hanno un senso, Balzani e Majorino saranno in campo con lui. Si dirà per mesi che, con un accordo, l’avrebbero battuto. Lo stesso Pisapia ha abbracciato il vincitore, ma la via dell’unità (vera) sarà complicata e il signor Expo avrà bisogno di alleati. Nascerà un gruppo di sinistra-sinistra e si presenterà al voto contro il Pd: non dispiacerà a Sala e neppure a Renzi, confermerà il famoso laboratorio. Ma le primarie sono la gara di una parte e un rito di passaggio: ora comincia la sfida di tutta la città. Con un campo aperto e avvincente. Il centrodestra, che ha aspettato le decisioni degli altri (e non si capisce perché), può adesso calare le sue carte. In una città geneticamente moderata. Forse toccherà a Stefano Parisi, anche lui ex manager, anche lui ex direttore generale del Comune. Mentre in partita, da indipendente, corre già Corrado Passera. Stesso profilo. Appunto. Dal partito della nazione alla città della nazione.

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