Cos’è la famiglia? Papà, mamma e figli, si sente ripetere in maniera ossessiva in questi ultimi mesi. Come se bastasse avere un papà e una mamma affinché tutto sia bello, tutto sia perfetto, tutto sia giusto. Un’evidenza, insomma. Come se l’amore, quello che dà senso a ogni cosa evitando che la vita scivoli nel vuoto dell’assurdo, fosse la conseguenza inevitabile di un’organizzazione familiare fondata su quello che in tanti chiamano «l’ordine naturale delle cose». Ma che cosa è naturale e che cosa non lo è? Perché la maternità e la paternità dovrebbero essere il frutto della biologia? Da quando in qua la genetica fonda l’amore?
«Quindi, per te, un bambino non avrebbe diritto a una madre e a un padre?», mi chiede Lidia sgranando gli occhi. Lei che di bambini ne ha cinque, e che sa bene che cosa voglia dire fare la mamma. Mente io, in fondo, che ne so? Mica ho figli, io. E allora perché parlo? Di che cosa mi impiccio? Come mi permetto di strumentalizzare i figli altrui? Perché poi, spesso, è proprio così che succede: non si hanno argomentazioni e si va sul personale; non si sa bene cosa ribattere e si attacca. E allora non è facile incassare il colpo e far finta di nulla, soprattutto quando la mancanza di figli, almeno nel mio caso, è una ferita profonda. Ed è estremamente complicato mettere tra parentesi quell’assenza che d’un tratto si spalanca e riprendere il filo del discorso. Anche quando dalla propria parte c’è la certezza dell’amore e della misericordia. E la misericordia, come ha detto recentemente Papa Francesco, non è forse il nome di Dio? «Ogni bambino ha diritto alla maternità e alla paternità, cara Lidia», le rispondo allora dopo aver stretto i denti e respirato profondamente. «Quando si nasce, ognuno di noi ha bisogno di tutto e, senza l’amore e la cura dei genitori, non si sopravvive. Ma sei veramente certa che la maternità coincida sempre e solo con la donna e che la paternità coincida sempre e solo con l’uomo?», continuo fissandola. «La psicanalisi ci insegna che la paternità e la maternità hanno molto poco a che vedere con la biologia. Basterebbe rileggere qualche testo di Freud o di Lacan». Ma a Lidia, della psicanalisi, importa poco o niente. E quando cerco di spiegarle che la maternità è la capacità di «raccogliere la vita», come spiegava già Freud, e che la paternità è la capacità di tramettere l’alleanza tra il desiderio e la legge, come ha poi mostrato Jacques Lacan, mi fissa sgranando gli occhi. «I figli non sono un diritto», ribatte. «Le coppie omosessuali dovrebbero farsene una ragione. Che si amino pure se vogliono, ma lascino stare i bambini!». Lidia è convinta che solo una famiglia come la sua, fatta di un papà, una mamma e tanti figli, sia normale, naturale, serena e appropriata. Esattamente come è certa che, solo in un contesto di questo tipo, i figli possono essere felici. Per lei, il mondo va così. Punto e basta. E allora la discussione si interrompe. In fondo, non ho altro da aggiungere. Se non augurarle con tutto il cuore che quella felicità di cui parla non si schianti un giorno contro il muro della realtà, costringendola a fare i conti con tutto quello che non «ha» e che non «è».. Visto che anche lei, donna eterosessuale e madre, non «ha tutto» e non «è tutto». Tanto più che i bambini – tutti i bambini e tutte le bambine senza eccezione alcuna –, più che di genitori perfetti, hanno bisogno di essere riconosciuti per quello che sono, ossia imperfetti e pieni di contraddizioni. Ma chi non ha coscienza dei propri limiti può poi veramente riconoscere e amare l’imperfezione altrui?