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Riforme, verso la fine della transizione

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Europa

Riforme, verso la fine della transizione

  • –Emilia Patta

«Volgendo lo sguardo ad auspicabili riforme costituzionali, ricordo che all’Assemblea costituente io, quale relatore della parte del progetto di Costituzione riguardante il Parlamento, fui tenace sostenitore di un’integrazione della rappresentanza stessa che avrebbe dovuto affermarsi ponendo accanto alla Camera dei deputati un Senato formato su base regionale. Una Camera che fosse rappresentativa dei nuclei regionali offrirebbe il grande vantaggio di fornire quello strumento di coordinamento fra essi e lo Stato che attualmente fa difetto, e che invece si palesa essenzialmente per conciliare le esigenze autonomistiche con quelle unitarie... è questa la direzione a cui bisogna avvicinarsi per dare una ragione d’essere a una seconda Camera che non sia, come avviene per l’attuale Senato, un inutile doppione della prima».

Il Senato come «inutile doppione della Camera». Due Camere che approvano le stesse leggi e che danno entrambe la fiducia al governo. Quest’anomalia, unica nel mondo democratico, era già presente agli stessi costituenti: il brano citato è di Costantino Mortati, ma della questione si avvidero in molti, Giuseppe Dossetti tra gli altri. È storia nota, ricordata anche dall’ex presidente Giorgio Napolitano nei giorni concitati della sua rielezione, ma spesso dimenticata dai detrattori della riforma del Senato e del Titolo V che porta il nome della ministra Maria Elena Boschi. A fare il punto storico sulla riforma in vista del referendum confermativo che vedrà gli italiani esprimersi il prossimo ottobre è Stefano Ceccanti nel suo ultimo libro La transizione è (quasi) finita, Come risolvere nel 2016 i problemi aperti 70 anni prima, edito da G.Giappichelli Editrice (11 euro). Professore ordinario di diritto pubblico comparato presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Roma La Sapienza, Ceccanti è stato senatore del Pd nella XVI legislatura (2008-2013) e membro della commissione del governo Letta per le riforme costituzionali. Il carattere eccessivamente garantista del bicameralismo paritario, accompagnato dalla debolezza del governo, fu frutto del clima di contrapposizione che all’inizio della guerra fredda vide contrapposti la Dc e il Pci-Psi. Ma i problemi che il sistema scelto avrebbe comportato erano ben presenti ai costituenti.

Da qui la lunga transizione che dà titolo al libro, iniziata con la riforma elettorale del 1993 che introdusse per la prima volta un sistema maggioritario, il collegio uninominale del Mattarellum, portando ad una bipolarizzazione del sistema politico e alla indicazione del capo della coalizione come candidato premier. Un sistema “strabico”, fa notare Ceccanti, perché all’impulso maggioritario e “decidente” della nuova legge elettorale non seguì l’ammodernamento della Costituzione nonostante più di un tentativo (la commissione De Mita-Iotti prima e quella D’Alema poi).

Solo ora, con la riforma in via di approvazione che supera il Senato elettivo trasformandolo in quella Camera delle Regioni già a suo tempo auspicata da Mortati, l’Italia si avvia ad abbandonare - dopo la Francia con la transizione dalla Quarta alla Quinta Repubblica - quella che lo studioso francese delle istituzioni Maurice Duverget chiamava la condizione di componente dell’Europa “dell’impotenza” per entrare in quella “della decisione”. Esattamente 70 anni dopo il varo della Costituzione. Come «nani sulle spalle di giganti».

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