La filosofia dei brutti ma buoni

Natalizio o autunnale, non c'è solo la variante toscana alle mandorle e quella varesotta alle nocciole. Libero spazio alla creatività: l'importante è badare al sodo...
Brutti ma buoni varianti

Più che un dolce natalizio, sono una famiglia. Di più, un modo di essere: sono i brutti ma buoni, specialità di cui in Italia esistono numerosissime versioni. A Prato, ad esempio, ci sono i “bruttibuoni”, o “brutti buoni”: nati all'inizio del '900 nella pasticceria di Antonio Mattei, lo stesso che mise a punto la ricetta classica dei cantuccini di Prato, vengono preparati con un impasto a base di uova, mandorle tritate, zucchero e farina. Spesso vengono consumati col vinsanto al pari dei cantucci e dei tozzetti. Umberto Mannucci, scrittore e cantore delle tradizioni culinarie di Prato, nel suo Bisenzio: tradizioni e cucina, ne descriveva così la preparazione: “Un kg di mandorle dolci e amare con un kg di zucchero e si impastano con chiare di uova, profumando leggermente con essenza di limone. L’impasto denso si pone a mucchietti su un foglio d’ostia da dolci preparato in un teglione. Si fa riposare in un teglione e si cucina a fuoco lento”. Dai “brutti buoni” di Prato nacquero così i “brutti ma buoni” diffusi nel Centro Italia, spesso – come nella ricetta umbra – ulteriormente arricchiti dalle nocciole, che non fanno che incrementarne la “bruttezza” per quella loro forma irregolare e decisamente sgraziata.

Quel tocco di vaniglia

Ma c'è un'altra tradizione che vede andare a braccetto bruttezza e bontà. Quella dei “brutti e buoni”, nati nel 1878 dall'estro di Costantino Veniani, pasticciere di Gavirate (Varese). Qui le nocciole diventano un elemento fondamentale, che sostituisce in toto le mandorle: una volta tostate e tritate, esse vengono unite allo zucchero, all'albume, allo zucchero a velo e al miele, e quindi messi in formo dove si gonfieranno e assumeranno quella forma non proprio regolare che li contraddistingue. E c'è anche un tocco di vaniglia: ne risulta un sapore delicato che si accompagna alla perfezione con gli spumanti, ma anche con un caffè o una cioccolata calda. Viva l'inverno, insomma. Ma l'uso delle nocciole richiama un'altra area di provenienza dei brutti ma buoni, ossia il Piemonte, dove per i “brût ma bon” si utilizza praticamente la stessa ricetta inventata a Gavirate: cambia solo la forma, solitamente più schiacciata, a mo' di biscotto.

Cannella, frutta secca e fantasia

Anche Napoli ha la sua versione dei brutti ma buoni: si preparano però più spesso a Pasqua, con gli albumi avanzati dalla preparazione della pastiera. Cambia la città, non la ricetta o l'aspetto, più somigliante a quello della variante toscana. Oltre allo zucchero e alle nocciole, qui però compare anche la cannella. In Sicilia, invece, tornano in gioco le mandorle. Oggi di brutti ma buoni se ne possono trovare al cioccolato, con pistacchi e pinoli, alle arachidi, alle noci, con semi di girasole e farina di segale, perfino nella variante salata e vegana. Insomma, spazio libero alla fantasia. L'importante è che siano brutti. E rigorosamente buoni.