MADE IN ITALY NEL MONDO

Made in Italy, la milanese De Nora porta l’acqua potabile a Hong Kong

di Stefano Carrer

(Agf)

4' di lettura

De Nora alla conquista delle acque di Hong Kong: la «multinazionale tascabile» milanese realizzerà avanzati sistemi di depurazione presso dieci impianti di trattamento del Water Supply Department of Hong Kong S.A.R. (sette con il contractor REC-Chevalier e tre con la giapponese Torishima). Un progetto del valore di circa 30 milioni di euro reso possibile dalla combinazione del tradizionale knowhow societario nella produzione di cloro-soda con innovative tecnologie infragruppo - giapponesi e americane, frutto di acquisizioni – per l'inserimento del cloro nell'acqua e la prevenzione di fughe di gas.

Per la regione amministrativa di Hong Kong, si è trattato di una precisa scelta «politica»: investire in tecnologie premium che consentono la produzione presso i singoli impianti di componenti e sistemi essenziali per la depurazione, in modo da evitare i rischi per la sicurezza, in zone densamente popolate, legate al tradizionale trasporto di materiali chimici potenzialmente pericolosi (come dimostrato da una gravissima esplosione accaduta in Cina qualche anno fa, che provocò numerose vittime). Per De Nora il contratto sarà un ottimo biglietto da visita per la partecipazione alla Singapore International Water Week che si apre l'8 luglio e rappresenta la vetrina del settore nell’intera regione Asia-Pacifico.

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«E' uno sviluppo importante non solo perché radica la nostra presenza a Hong Kong, ma perché l'esempio della Regione Amministrativa Speciale potrà fare scuola nella regione asiatica - afferma l'amministratore delegato Paolo Dellachà – oltre a confermare i progressi nella nostra strategia di diversificazione nel settore del trattamento delle acque». Proprio la consapevolezza che un'azienda come De Nora, avendo una storica piattaforma tecnologica di leadership nel cloro-soda, poteva puntare su nuovi ambiti strategici – dalle acque allo stoccaggio dell'energia – aveva indotto il maxifondo americano di private equity Blackstone a entrare nell'estate scorsa nel capitale dell'azienda con una quota di circa un terzo, per favorirne la crescita in vista di una futura Ipo o cessione con profitto. «A distanza di un anno dall’investimento, il nostro partner appare contento della sua scelta e ci stimola verso direttrici di espansione», dice l’ingegner Dellachà, che con tutta la prima fila del management ha investito anch'egli nella scommessa su uno sviluppo aziendale che prevede anche una crescita per linee esterne.

Un paio di acquisizioni, negli Stati Uniti e in India, sono in dirittura di arrivo entro l'anno (una forse già entro l'estate), mentre altre possibilità sono sotto monitoraggio e si sta completando l’espansione da 10 milioni di dollari dello stabilimento di Suzhou, in Cina.

Se le stime iniziali prevedevano prudenzialmente la conferma del giro d'affari 2017, «le ultime indicazioni ci fanno prevedere per quest'anno un risultato superiore al budget». Questo nonostante alcuni venti contrari di cui Dellachà si rammarica, in particolare lo stop ad alcuni progetti in Iran e Russia a causa delle sanzioni internazionali. «Pensare che in Iran la produzione di cloro-soda era tutta De Nora fin dagli anni '60, con una seconda fase di ammodernamento negli anni '80 – afferma il Ceo del gruppo (1600 dipendenti, di cui 200 in Italia, con quasi tutti i ricavi realizzati all'estero) – Ora dobbiamo affrettarci a terminare le nostre attività locali prima che il periodo di grazia sulle sanzioni scada agli inizi di novembre». Situazione analoga nel caso della Russia, diventata troppo rischiosa: il Cda ha raccomandato di non procedere con i progetti in corso in quanto indirettamente tra gli azionisti delle società russe con cui interloquire ci sono entità messe nella «blacklist» americana. «Credo che l'Europa dovrebbe fare di più per attenuare la la portata extraterritoriale della giurisdizione statunitense… », osserva Dellachà - Noi abbiamo una presenza diffusa nel mondo e quindi l'introduzione di dazi e barriere commerciali non ci danneggia in modo particolare nel trasferimento fisico di prodotti. L'impatto ci arriva da decisioni tutte politiche sulle sanzioni».

Un altro stop arriva nel Venezuela, non più in grado di pagare a causa della sua profonda crisi finanziaria e valutaria. Non si profila invece nessuna conseguenza della prossima confluenza in una joint con l'indiana Tata dell'acciaio di ThyssenKrupp, il gruppo tedesco con la cui divisione Industrial Solutions la società italiana ha una joint venture.

Il posizionamento di De Nora come fornitrice di tecnologie «sostenibili» si sta intanto rafforzando con nuovi contratti. Se in Italia per ora non c'è molto in cantiere – a parte la definizione di una fornitura di impianti dimostrativi per l'Acquedotto pugliese – altrove si moltiplicano i contratti. Nel settore del fracking in Texas, ad esempio, sono state fornite soluzioni mobili per la depurazione in loco delle acque in parecchi siti del bacino Permian. Nel comparto della produzione di idrogeno, spicca un recente accordo con McPhy per la fornitura a lungo termine di elettrodi. Un'altra direttrice-chiave su cui punta De Nora è infatti quella dello stoccaggio di energia e, più in generale, l'inserimento nella futuribile ma non troppo lontana «civiltà dell'idrogeno» profetizzata da Jeremy Rifkin.

Il responsabile dello sviluppo e marketing Luca Buonerba sottolinea il ruolo crescente dell'azienda nella promozione della cosiddetta «economia circolare», in cui dagli scarti e residui dei processi produttivi si ricavano materie prime da riutilizzare in un ciclo continuo. Nuove sfide per cui si tratta di mantenere un equilibrio tra espansione e marginalità.

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