SCENARI

Internet of things, PA e smart city il volàno italiano?

Finora hanno dominato le app per smart metering e automotive, ma sarà la spesa pubblica, sostengono i principali esperti e analisti, a imprimere la svolta e a consentire la “connettività” di massa. Ma c’è ancora molto da fare su sicurezza, regole e standard

Pubblicato il 03 Lug 2015

Alessandro Longo

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Grosse potenzialità, grandi aspettative degli attori del mercato e un boom di servizi avviati. Senza dimenticare la prudenza, però. Perché i margini sono ancora dubbi e gli stessi ricavi non crescono in modo inequivocabile, in Italia. Il quadro dell’Internet of things è diviso tra ombra e luce, com’è tipico delle grandi novità che potrebbero cambiare nel profondo il mercato e le prassi di consumatori o aziende.


Tra le ombre ci sono diversi fattori di incertezza, non solo economici: sulla sicurezza, sulle regole e sugli standard. Incognite che a loro volta frenano il mercato, scoraggiando acquisti e investimenti. Anche la stessa terminologia inganna: Internet of things (Iot) è concetto nuovo, rispetto al classico Machine to machine (M2M). Alcuni esperti tendono a usarli come sinonimi, mentre per altri l’M2M è concetto più limitato, riferendosi a semplici connessioni tra dispositivi. Laddove Iot è l’aggiunta di una connessione (con relativa intelligenza) a qualsiasi oggetto: a casa, in città, nelle auto, in azienda.


Anche questi aspetti rendono l’idea di quanto il settore sia ancora germinale. E tuttavia è opinione comune che bisogna esserci, per le grosse potenzialità che l’Iot potrebbe esprimere. L’ultimo studio del Politecnico di Milano riferisce che in Italia c’erano 8 milioni di oggetti connessi- tramite sim- nel 2014, per un valore di mercato di 1,15 miliardi di euro. Si sommano i 400 milioni per gli oggetti connessi con tecnologie diverse (bluetooth e wi-fi nelle rispettive versioni a basso consumo energetico, e wireless M-Bus). Le stime di Idc sono un po’ diverse: quota 8 milioni di oggetti sarà raggiunta solo quest’anno (contro i 6 milioni del 2013). Idc stima, nel 2014, 1,180 miliardi di valore di mercato (di cui il grosso, 64%, in integrazione dei sistemi, il 16% in hardware, il 13% in software e servizi e solo il 7% per gli operatori telefonici). La crescita prevista per il 2015 è ancora limitata: 1,2 miliardi. Secondo il Politecnico è apprezzabile già una crescita, del 33%, dei ricavi nel 2014 sul 2013. Un balzo migliore si dovrebbe avere nel 2016, a 1,4 miliardi. Le previsioni, valide per l’Italia, sono in linea con quanto ritengono gli analisi internazionali per l’Europa e il Nord America: solo l’anno prossimo l’Iot comincerà a mostrare un volto più maturo, affrontando i diversi nodi che ora lo frenano.


Il Politecnico, così come Gartner, prevede che un grosso fattore di svolta verrà dalle smart city e quindi dalla spesa delle PA (forse già da quest’anno). Finora invece hanno dominato le applicazioni smart metering e per le automobili (soprattutto a fini assicurativi). Sulle prime l’Italia ha fatto avanguardia già oltre dieci anni fa, con i contatori dell’energia elettrica. Enel ne sta avviando la sostituzione, che dovrebbe andare a regime nel 2016, anche grazie ai nuovi network in fibra (di qui il dibattito per le possibili sinergie con Telecom Italia e il piano banda ultra larga governativo). Lo stesso processo riguarderà i contatori del gas e dell’acqua. Telecom è oggi il principale operatore Iot in Italia, con il 60% di quota di mercato (Vodafone domina a livello mondiale).
È di fine maggio un accordo tra Telecom Italia e Indra (multinazionale IT spagnola), per realizzare servizi Iot nei negozi, per smart city, mobilità sostenibile e smart energy. Telecom sperimenta inoltre con Iren (utility per l’energia e il gas) una tecnologia di smart metering multiservizio, in ottica di smart city (rete capillare di sensori).
Vodafone ha una partnership con Elica, azienda marchigiana che fa cappe da cucina per uso domestico (un’app informa sulla qualità dell’aria rilevata da sensori e permette di controllare il dispositivo). Ne ha un’altra con Texa, produttrice di strumenti diagnostici per mezzi di trasporto: l’Iot serve a fare telediagnosi. Vodafone e Carel (che attiverà migliaia di sim M2M nei prossimi cinque anni) stanno per lanciare una piattaforma per controllare apparati di climatizzazione e refrigerazione.


Vodafone riferisce anche che sta per partire una collaborazione con Hera, la multiutility bolognese. Entrambi gli operatori dicono di aspettarsi un contributo importante al proprio business, dall’Iot. Sia per profitti sia per ricavi.


“Il valore già oggi non è nella connettività, che è un elemento necessario ovviamente, ma nelle soluzioni e applicazioni usate dai clienti”, specificano da Telecom.
“A parte gli operatori telefonici e i produttori di oggetti di vario tipo, l’altro attore del mercato Iot sono pochi system integrator e i produttori di moduli”, dice Daniela Rao, analista di Idc. Tra i primi, in Italia, ci sono Accenture, Octo Telematics e pochi altri, più o meno verticali (Octo intermedia i servizi assicurativi per le auto). Tra i secondi, Jasper, Wireless e Telit. “I vantaggi economici non sono chiari per nessuno degli attori. Nessuno fa soldi al momento, davvero, con l’Iot – dice Rao – Tuttavia, le potenzialità sulla carta sono enormi, in particolare per tagliare i costi grazie a un migliore controllo e monitoraggio sugli asset”.


Secondo il Politecnico, l’Italia potrebbe risparmiare 4,2 miliardi grazie a soluzioni per illuminazione intelligente, gestione della mobilità e per la raccolta rifiuti. Ne viene anche un taglio delle emissioni per 7,2 milioni di tonnellate di CO2. L’Iot riduce anche i costi della sanità, grazie al telemonitoraggio dei pazienti.
Non è ancora chiaro se aziende e consumatori adotteranno in massa i dispositivi Iot, ma i primi segnali sono incoraggianti anche in questi ambiti. Ci sono investimenti internazionali soprattutto nella logistica (gestione della supply chain), nel retail (vending machine smart, cartellonistica smart, rilevamento frodi) e nei servizi finanziari (soluzioni di pagamento mobili).
Osservatori come Ovum e Forrester Research hanno notato che tra gli ostacoli, per l’adozione nelle aziende, ci sono le difficoltà di integrazione dei sistemi. E questo rende più difficile calcolare il rapporto tra costi e benefici dell’Iot. Standard e soluzioni cloud potrebbero risolvere il problema.


Non è detto inoltre che i consumatori coglieranno il valore degli apparati smart a casa o nelle auto (ma il 46% degli utenti intervistati dal Politecnico è interessato alla domotica). A tutto questo si sommano le incognite normative, di interoperabilità, di privacy e di sicurezza. Bisognerà aspettare almeno il 2016 perché l’Internet of things esprimerà le proprie potenzialità, tenendosi in equilibrio tra le luci e le ombre.

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