Che cosa significa stare insieme a qualcuno? Come si fa a condividere veramente i giorni che passano e il futuro che si avvicina? È necessario talvolta sacrificarsi per venire incontro ai bisogni dell’altra persona, oppure il sacrificio è sempre e solo sinonimo di sofferenza inaccettabile? Maria ha ventisette anni e tante domande che le frullano per la testa. Soprattutto da quando, con Carlo, le cose non vanno proprio bene. «Cioè, Carlo è l’uomo della mia vita, ne sono certa. Ma a tratti penso che ci stiamo incartando. Io con i miei capricci. Lui con il suo senso del dovere. Talvolta mi dico che riusciamo solo a farci tanto male, dimenticandoci di vedere veramente chi ci è accanto». «Perché parli di capricci? In che senso?». «In realtà è lui che dice sempre che sono capricciosa. Io ho solo bisogno di essere vista, riconosciuta, presa in considerazione. Ho bisogno di sentirmi importante».
«Ma questi non sono capricci, Maria. Senza riconoscimento non c’è amore». Non è facile capire esattamente come stiano le cose. Maria mi racconta che, da quando lei ha cominciato a lavorare a Roma, con Carlo si vedono solo il week-end. Lei arriva a Milano il venerdì sera piena di aspettative e di voglia di vederlo. Lui la viene a prendere sempre alla stazione e dice di essere felice di vederla. Poi però, durante la cena, legge il giornale e non le rivolge la parola. Dopocena si piazza davanti al televisore e fa come se Maria non esistesse. Ed è solo quando vanno a coricarsi che sembra accorgersi di nuovo della sua presenza. «L’altro giorno gli ho detto che sono stanca dei viaggi, di Milano, dei suoi silenzi. Che comincio a essere stanca di tutto. Gli ho detto: che ruolo ho nella tua vita? Ho un valore? Sono importante? E lui mi ha risposto di sì, che è ovvio che sono importante, che dovrei saperlo, che però sto diventando veramente noiosa e ossessiva. Ma si rende conto che se io sto diventando noiosa e ossessiva è solo perché a volte mi sento del tutto trasparente e invisibile?».
Pare che Carlo abbia problemi lavorativi in questo momento. Pare che, però, non voglia affrontare la questione con Maria perché deve essere lui a trovare una soluzione e lei non c’entra. Pare che quando non sta bene, Carlo si chiuda a chiave all’interno di se stesso e non voglia condividere nulla. Prima non era così. Prima c’era una passione che era capace di cancellare tutto e di risolvere ogni cosa.
Ma ora che si è instaurata la routine della vita coppia e che di passione ce n’è meno come si fa? Ovviamente, ci sono cose intime su cui è meglio evitare di dire la prima cosa che passa per la testa. Quello che cerco però di spiegare a Maria, affinché possa poi prendere le proprie decisioni, è che l’amore, quando è vero amore, è sempre impastato di routine e di condivisione. E che anche se la condivisione sembra la sorellina povera della passione, quella un po’ triste e monotona di cui nessuno vorrebbe mai sentir parlare, in realtà è lei il sale dell’amore. Anche se non fa sognare, è lei che fa vivere. E che permette di capire che è proprio con quella persona che si vuole andare avanti, anche se lei non è uno specchio in cui contemplare il proprio riflesso. Ecco perché amare significa anche tollerare. Ma nella tolleranza, non c’è mai traccia di sacrificio. Perché si tollera e si sta bene. Si tollera e ci sente tollerati. E allora la questione dell’importanza della propria esistenza non ce la si pone nemmeno più. Perché si è importanti. Sempre. Anche se lui o lei, talvolta, hanno altro