Amazon pagherà gli autori ebook a seconda delle pagine lette

Secondo alcuni questa mossa favorirà i romanzi lunghi e di intrattenimento. Ma il problema è già all'orizzonte, Amazon sta solo anticipando i tempi

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John Blyberg @ Flickr[/caption]

Forse non si raggiungeranno le temperature dell'agosto 2014, quando 909 autori firmarono una lettera di fuoco in cui accusavano Amazon di concorrenza sleale nei confronti di Hachette; ma il clima è quello.

Amazon ha annunciato che a partire dal 1 luglio, le royalities degli ebook Amazon presenti nel circuito Kindle Unlimited verranno pagate agli autori non più in base al numero di copie scaricate, ma in base al numero di pagine effettivamente lette. In soldoni significa che tutti gli autori che si sono serviti del sistema Kindle Direct Publishing per pubblicare e distribuire online il proprio ebook, guadagneranno una cifra diversa a seconda che un utente abbia letto poche pagine o il libro nella sua interezza.

Il sistema, sostanzialmente, funziona così: a partire dalle sottoscrizioni al programma Unlimited (una sorta di Netflix per gli ebook), Amazon crea un fondo royalties che poi ripartisce tra gli autori dei libri presenti nel catalogo. Ipotizzando un fondo di 10 milioni di dollari, un libro di 100 pagine che sia stato letto per intero 100 volte, garantirà all'autore 1000 dollari di royalties; un libro di 100 pagine che invece sia stato letto 100 volte ma solo per metà della sua lunghezza, frutterà 500 dollari.

La novità viene presentata come risposta a tutti quegli autori Amazon che chiedevano di adeguare i corrispettivi delle vendite alla lunghezza delle proprie opere, poiché non accettavano che il proprio tomone da 1000 pagine fruttasse le stesse cifre di un racconto da 10 pagine. Amazon ha risposto all'appello, ma come sempre ha fatto a modo suo: la base per i pagamenti non sarà il totale delle pagine scritte, ma il totale di quelle lette.

Com'era prevedibile, la notizia ha sollevato polemiche, e non tanto tra gli autori di ebook brevi, quanto tra i lettori forti e gli addetti ai lavori del settore editoriale, che in questa mossa intravedono un ulteriore passo verso un orizzonte di bancarelle digitali zeppe di romanzi inutilmente prolissi. Il rischio, dicono, è che questo sistema finisca per stimolare gli autori a scrivere voltapagina da autogrill, mettendo da parte ogni attitudine alla concisione e all'esattezza della prosa.

Un timore simile, però, è in buona parte infondato.

Quando nel 2007 cominciò a circolare la notizia secondo cui Amazon avrebbe lanciato un proprio servizio di pubblicazione diretta per gli autori, i soliti catastrofisti dalla preconizzazione facile si affrettarono proclamare i funerali anticipati dell'editoria tradizionale; dopotutto – dicevano - nel momento stesso in cui un autore (o un aspirante tale) avrà la possibilità di esporre sugli scaffali digitali la propria opera senza bisogno di intermediari, se non ci sarà più bisogno di impaginare, stampare e distribuire, a cosa potrà servire una casa editrice?

Chi faceva questi discorsi, dimostrava di non sapere come funzioni una casa editrice, in particolare sembrava non rendersi conto di quanto il l****avoro editoriale di selezione e affiancamento degli autori sia destinato ad avere un'importanza maggiore, e non minore, in un panorama in cui l'offerta sembra destinata a gonfiarsi in maniera esponenziale. Ma quello che quei presaghi in particolare ignoravano, era che la vera utilità di una casa editrice, per un autore non ancora affermato, al di là della capacità di rendere il suo lavoro visibile, sono gli editor, ossia quelle persone dall'occhio lungo e le spalle larghe che per lavoro individuano quello che non funziona in una storia e aiutano l'autore a trovare una via d'uscita.

La prima cosa che la maggior parte degli autori emergenti scopre, una volta che la sua opera finalmente raggiunge la scrivania di un editore, è di avere una nociva tendenza al didascalismo, alla grafomania, all'accumulo, quando quasi tutti i grandi scrittori invece rivelano che per scrivere bene bisogna innanzitutto rendersi conto di scrivere male, essere disposti a uccidere i propri cari (Faulkner), perché la prima bozza di qualsiasi cosa è merda (Hemingway), e dopo una notte di alcol e scrittura la prima cosa da fare, a parte mettersi due dita in gola, è stracciare almeno metà di quello che si è scritto (Bukowski). Non stupisce allora che il ritornello preferito di molti editori si appoggi sul verbo “tagliare”. Certo, in via teorica un autore può anche imparare da solo ad asciugare e a fare emergere la propria prosa senza bisogno del fiato di un editor sul collo, ma è raro che il suo ego glielo permetta.

Ecco, se fino ad oggi il precetto più diffuso nell'editoria era “less is more”, il nuovo vangelo secondo Amazon sembra prendere la direzione opposta: “Scrivi tanto, titilla continuamente il lettore con ganci e cliffhanger e privilegia gli elementi di tensione a qualunque altro aspetto della narrazione.” Se tutto va male, nei prossimi anni saremo sommersi da libri prolissi, didascalici e pieni di figure (stranamente, il conto delle pagine lette non prescinde dalle immagini incorporate nel testo)

Amazon ha più volte dimostrato di saper stravolgere il panorama editoriale a suo piacimento, e anche questa novità porta con sé una serie di corollari rischiosi. Tuttavia, l'idea che il colosso di Seattle sia il guastafeste che minaccia di distruggere un settore altrimenti florido è fuorviante.

I servizi di pubblicazione digitale diretta sarebbero emersi anche in un mondo senza Jeff Bezos, di fatto Amazon sta solamente anticipando i tempi. Nel momento in cui il primo e-reader è stato immesso in commercio, si è aperta la strada verso un modo nuovo di scrivere e leggere romanzi. È possibile (non necessariamente probabile) che in futuro molti lettori digitali bypasseranno le tradizionali case editrici per acquistare e leggere libri che non hanno visto altra penna che quella del loro autore; ma volendo ragionare sul lungo termine, non è detto che ciò sia un male.

Certo, è probabile che nei primi tempi la qualità media delle opere risulterà notevolmente più bassa. Ma cosa succederà dopo? Davvero così tanti lettori si tapperanno il naso e manderanno giù libri ipertrofici e scritti male, pieni di colpi di scena e personaggi bidimensionali? Davvero la mancanza di editor comprometterà irreparabilmente la qualità della scrittura? Oppure aprirà la strada a nuove forme di romanzo, magari più libere dalle linee editoriali tradizionali? E ancora: è possibile che questo cambio di paradigma costringa alcuni autori a responsabilizzarsi e a sviluppare un atteggiamento più critico nei confronti della propria scrittura?

Sono domande tutt'altro che banali. Per le quali sarebbe utile cercare risposte al netto di timori e pregiudizi.