«Per fermare la nostra angoscia, abolite la pena di morte», ha scritto la famiglia di Martin Richard, 8 anni, la più piccola vittima dell’attentato del 2013 alla maratona di Boston. Ma non sono stati ascoltati, e l’attentatore Dzhokhar Tsarnaev, 21, è stato condannato a un’iniezione letale.
Lo chiede il 40% della popolazione americana di abolire la pena capitale, prevista in 32 stati su 50. E in questo 40% ci sono anche i familiari delle persone assassinate. Come i genitori di Martin. E come Linell Patterson della MVFR, un'associazione che riunisce le famiglie delle vittime di omicidio. A lei nel 2001 è stato ucciso il padre: «Ammazzare un’altra persona in “onore di papà” toglie dignità al suo ricordo».
Dalla poltrona di casa Linell racconta: «Il mio non è perdono, è ragionevolezza». Nella notte tra il 5 e il 6 settembre 2001, il fratellastro Michael e l’amico Landon May, hanno torturato e ucciso suo padre Terry e la moglie Lucy per ottenere il pin di una carta di credito. A Michael è stato dato l’ergastolo, mentre Landon è stato condannato a morte nella prigione della Pennsylvania «perché nella bocca di Lucy sono state trovate tracce di suo sperma», racconta. «No, non erano brave persone, e non sono sicura che un giorno lo diventeranno. Hanno massacrato mio padre con quarantasette coltellate», e mima il gesto del coltello nel petto, «ma accettare che uno stato uccida per “giustizia” è un atto pericoloso».
Aveva 19 anni e si era appena trasferita in Virginia per studiare al College. «Una sera mi ha chiamato mamma: “Hanno ucciso papà e Lucy”». Dopo lo shock iniziale sono arrivati il dolore e la rabbia: «Ne avevo così tanta da farmi paura da sola». Poi, durante il processo, le urla della madre di Landon quando il giudice ha pronunciato le parole «pena di morte» l’hanno cambiata. «Erano le stesse grida uscite dal mio corpo il giorno dell’omicidio di papà».
Linnel non si era mai chiesta se fosse pro o contro la pena capitale, ma vedere la famiglia del killer distrutta come la sua le ha dato la risposta. Dopo mesi di lunghi processi e dettagli scabrosi sull’omicidio, con la sorella Megan ha incontrato Landon. Volevano testimoniare il suo pentimento davanti al giudice, «perché sarebbe stato l’unico modo per cambiare la sentenza da pena di morte a ergastolo».
Sono andate nella prigione della Pennsylvania, per guardare da un vetro chi ha guardato loro padre negli occhi per l’ultima volta. E lì hanno scoperto che «il “mostro” era come noi: aveva i brufoli, si mangiava le unghie e tremava di paura». Landon aveva chiesto scusa. Linnel non ha mai capito se le sue fossero scuse vere, ma le ha accettate. Al giudice, invece, non sono bastate, e Landon continua a essere rinchiuso nel braccio della morte dello stato della Pennsylvania.
«Mi sono sposata, papà non ha potuto accompagnarmi all’altare, era il nostro sogno», dice. «Mi ha derubato di una parte importante della mia vita, ma io non farò lo stesso con lui».
GUARDA LE FOTO IN ALTO DI ARIANNA ARCARA, © CESURALAB