I dati su occupazione e disoccupazione relativi al mese di dicembre appena pubblicati dall’Istat, al di là dei numeri, ci consegnano un paese che non può perdere il favore di una seppur lenta ripresa. Con la chiusura del triennio 2015-2017, caratterizzato dal prevalere degli incentivi ai contratti stabili, si apre un nuovo capitolo, già pronto per essere posizionato nell’agenda del futuro governo. Il tema centrale è quello del rapporto tra occupazione creata dalla domanda strutturale delle imprese e posti di lavoro favoriti da più o meno generosi sconti. I tre anni passati hanno consegnato una quota di occupazione stabile che oggi è insidiata dal ritorno e dalla persistenza della precarietà. Il 2018 si presenta come un anno all’insegna dei giovani, gli sconti sono indirizzati a un loro maggiore ingresso (decontribuzione del 50%), mentre a sud se ne possono avvalere tutti (decontribuzione piena).

Intanto nell’ultimo anno, dicembre su dicembre, la disoccupazione è calata al 10,8%, quella giovanile addirittura al 32,2% (15-24 anni). Il tasso di occupazione è del 58%, il 67% per gli uomini e il 49% per le donne. In valore assoluto, sempre l’ultimo anno, ci sono stati 173 mila occupati in più, 102 mila sono andati alle donne e 71 mila agli uomini. Di converso, i disoccupati sono scesi di 273 mila unità, - 156 mila per le donne e - 117 mila per gli uomini. Su base annua la crescita interessa i soli lavoratori dipendenti (+1,6%, +278 mila) a fronte di un calo tra gli indipendenti (-1,9%, -105 mila). Ma la crescita dei dipendenti nei dodici mesi è determinata dai lavoratori a termine (+11,9%, +303 mila), mentre calano i permanenti (-0,2%, -25 mila). Ed è proprio su questo punto che si concentreranno i possibili cambiamenti. La liberalizzazione dei contratti a tempo determinato del 2014 è sotto tiro, l’abolizione delle causali è ritenuta pericolosa; ma soprattutto i contratti a termine non hanno un costo superiore a quelli stabili, obiettivo che per molti costituirebbe un efficace deterrente al loro abuso.