Expo, giovani che rifiutano il lavoro: ecco com'è andata

Facciamo un po’ di giornalismo? Dai, proviamoci. Non serve poi molto: basta porsi un paio di domande e incrociare alcune fonti che hanno avuto il merito di raccogliere le testimonianze degli schizzinosissimi giovani accusati di aver rifiutato il contratto offerto dall’Expo.    Una prima...

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(foto: Getty Images)[/caption]

Facciamo un po’ di giornalismo? Dai, proviamoci. Non serve poi molto: basta porsi un paio di domande e incrociare alcune fonti che hanno avuto il merito di raccogliere le testimonianze degli schizzinosissimi giovani accusati di aver rifiutato il contratto offerto dall’Expo.

Una prima domanda sorge spontanea dall’articolo del Corriere della Sera che ha inaugurato l’Operazione Bambocchoosy Reloaded, non ce ne vogliano il povero Tomaso Padoa-Schioppa e la ministra meno rimpianta di sempre, la professoressa Elsa Fornero: quasi 28mila candidati e la società di recruiting ha avuto problemi a trovarne poco più di 600? Forse, viene da pensare, la gestione dell’operazione ha avuto qualche problema. Questo è un quesito legittimo, un punto di partenza che verrebbe in mente anche all’ultimo praticante della Gazzetta di Otricoli.

La risposta l’hanno raccolta fra gli altri quelli di Giornalettismo, Valigia B**lu, Gli Stati Generali o Next,** che molto semplicemente prima di prendere per buono tutto ciò che è stato scritto, pistolotto di Aldo Grasso incluso, hanno aperto i canali. Quello che una testata dovrebbe fare. Una delle giovani selezionate ha per esempio raccontato per filo e per segno lo svolgimento di una procedura di selezione a dir poco sgangherata, che avrebbe disamorato anche il più motivato dei mujaheddin. Una via crucis imbarazzante. Stesso tenore sui social network e nei commenti di varie testate che hanno ripreso la notizia. Inclusa quella d'origine.

Non diciamo fesserie... Sono stato selezionato dalla Manpower. Ho preso il treno da Torino, colloquio di gruppo tutto ok, alla fine la signora si alza e ci dice di aver ricevuto ora comunicazione del importo della retribuzione 796 euro LORDI. 3 Turni sabato, domenica e festivi compresi – ha scritto Luviu Dinu in un intervento sull’Huffington Post - tra abbonamenti, trattenute, un panino mi rimanevano un 100 euro ad essere ottimisti. Avrei accettato se abitassi a Rho o se i 796 euro fossero stati netti. Magari i 1.300 euro li prende la Manpower”.

E ancora Martina Pompeo su Giornalettismo: “Sono stata molto tentata di accettare anche se il salario era 500 euro con contratto di stage (40 ore settimanali), ovvero finiti questi 6 mesi non si ha neanche la possibilità di chiedere la disoccupazione, e ovviamente 6 mesi senza versare contributi – scrive nel suo intervento – 500 euro di cui 350 euro li avrei spesi per un mensile del treno Torino-Milano più i vari pullman da prendere per arrivare alla stazione dato che abito a Torino e gli affitti a Milano sono talmente alti che è meglio dormire 3 ore per notte e fare il pendolare”. La prima domanda mi pare risolta, non credete?

Ce n’è poi un’altra, che è in fondo più di opportunità: dalle testimonianze pare che ancora in queste ore, proprio mentre scriviamo, siano in corso le procedure per mettere in piedi un rapido (e a questo punto chissà quanto meticoloso) periodo di formazione per queste persone. Ebbene, nel pieno del caos pre-Expo, Manpower trova il tempo di diffondere statistiche e snocciolare numeri a dir poco campati per aria?

I titoli che tutti hanno ripreso (“8 giovani su 10 rinunciano al lavoro, no ai turni nel weekend” et similia) non mi paiono infatti avere alcun fondamento logico. Provengono da questa frase: “Dunque, il 46 per cento dei primi selezionati (645 profili su 27 mila domande arrivate alla società Manpower, cui era stato affidato il compito della raccolta dei curricula e della prima selezione) è sparito al momento alla firma – scrive Elisabetta Soglio – sparito anche nel senso letterale del termine: qualcuno non ha neppure mandato una mail per dire ‘Grazie, ci ho ripensato’. E quindi via così: con il secondo gruppo di selezionati e poi con il terzo. Alla fine, si può considerare che circa l’80 per cento delle persone arrivate a un passo dalla firma abbia lasciato spazio ad altri”.

Francamente questi numeri non significano nulla: da quali dati sono ricavati? Che significa, alla luce di quello che abbiamo letto e delle centinaia di commenti disseminati per il web, “arrivati a un passo”? “Si può considerare” cosa? Uno scrupolo bisognava farsi, uno solo: abbiamo davvero la certezza che su quasi 28mila candidati ben 22.400 abbiano detto no? Non ci credo perché non ho cifre che me lo confermino. Non c’è nemmeno un virgolettato a supportare la stima, fornita magari da un qualche addetto ai lavori sulla base delle sue legittime ma magari non esattamente statistiche impressioni. Quanto alla mail per chiedere scusa di averci ripensato, dopo aver letto tutte le testimonianze, non mi resta che sorvolare: nel Paese dei “le faremo sapere” stadard fa un po’ ridere, come osservazione. Quella sì che è radical choosy.

Qualcosa in più ha aggiunto ieri sera Manpower rilasciando una confusionaria slavina di cifre: 160mila candidature ricevute per Expo, 150mila per i vari padiglioni, mille persone già reclutate e pronte per il primo maggio, 3.200 arruolate per i padiglioni e, solo per uno specifico segmento di queste posizioni (Area team leader e Operatori grandi eventi), un tasso di ripensamenti del 46%. Non si capisce granché ma è già qualcosa.

Terzo punto. Appare evidente, ma solo dopo aver approfondito, che i posti di cui parla il Corriere non sono ovviamente tutti quelli disponibili per Expo ma solo quelli relativi alla “squadra che si occuperà degli 84 quartieri nei quali è stato suddiviso il sito espositivo per la gestione operativa”. E allora perché titolare genericamente "Turni scomodi per lavorare all’Expo, otto su dieci ci ripensano dando l’idea che tutti i candidati per ogni mansione abbiano rifiutato 1.300-1.500 euro al mese?

Che fra i giovani italiani e il mercato del lavoro ci siano problemi devastanti è evidente. Lo spieghiamo da tempo, nessuno vuole evitare di affrontare pretese a volte eccessive, un certo spirito di sacrificio a intermittenza, la scarsa lungimiranza nel capire che una laurea serve ma, ahimé, non garantisce e non basta: il proprio percorso va costruito pezzo dopo pezzo e non basta presentarsi col pezzo di carta (quando c'è ed è stato scelto con criterio e passione) aspettando, come Snoopy disteso sul tetto della sua casetta, l'offerta della vita.

Purtroppo, però, news montate ad arte, che rilanciano con diabolico tempismo la tesi del giovane italiano sdraiato e scansafatiche, non aiutano il dibattito. Così come non lo aiutavano le sparate di Flavio Briatore o di Riccardo Illy. D’altronde, dopo aver scientificamente smantellato negli ultimi vent’anni il mercato del lavoro e aver gestito una formazione universitaria squilibrata non c’è neanche da lamentarsi se centinaia di migliaia di under 30 navighino alla ricerca della migliore fra le peggiori opportunità possibili (vogliamo parlare, che so, del fallimento totale di Garanzia Giovani che avrebbe dovuto incidere su quella spaventosa quota di neet, quasi 2,5 milioni?) e l’anno scorso quasi 24mila ragazzi fra i venti e i trent’anni abbiano fatto la valigia.

Nella vita le cosa non succedono mai per caso. Come è accaduto altre volte. Ieri sera mi è infatti capitato di conoscere una ragazza che incarna l’antitesi delle versioni che, pervicacemente, certa narrazione pubblica, giornalismo compreso, continua a voler traghettare. Appena 22 anni, capitò per questioni di famiglia negli Stati Uniti in adolescenza. In Texas ha quindi fatto il liceo e, quasi in contemporanea – sfruttando un anno risparmiato con la primina e il fatto che il ciclo dell’high school dura un anno di meno – la preparazione all’università che le ha consentito di conseguire la laurea a 19 anni, quando in Italia la maggioranza inizia il percorso superiore. Poi è rientrata a Roma: un master profumatamente pagato (il bachelor Usa equivale alla nostra triennale) e la specialistica in relazioni internazionali. Dopo, tre stage, uno dietro l’altro, in realtà molto importanti. L’ultimo ancora in corso. All’estero. Programmi futuri? Io le ho consigliato di mettere in pratica il suo progetto e tentare il salto nell’imprenditoria invece di far prendere un mutuo ai genitori per pagarle 80mila euro di retta a Boston.

Lei tornerà probabilmente negli Stati Uniti per un nuovo master e ricucire il percorso interrotto anni prima. Noi, invece, siamo ancora qui a spacciare per maggioritaria un’Italia che senz'altro esiste (pigri e sfaccendati ci circondano da sempre, fin dall'era del pre Bamboccionesimo) ma non merita di essere elevata a paradigma.