Antonello Venditti lo definisce un «disco tecnologico con un’idea di suono moderna, ma era inevitabile un contatto con il mio passato. Recupero la mia storia abbagliata da una luce proiettata nel futuro».
Si intitola Tortuga, sarà disponibile dal 21 aprile, e già si vola indietro nel tempo, a quel bar del quartiere Trieste di Roma frequentato dall’alunno del Giulio Cesare che poi diventò l’autore di Ci vorrebbe un amico. Ci sono anche i vicoli di Roma, San Pietro, Ponte Sisto e il Lungotevere.
Roma ritorna ad essere una protagonista. «La vedo come una stazione da dove partire, come il Tortuga, un luogo di aggregazione che potrebbe essere in qualsiasi parte d’Italia, dove si ritorna per ripartire verso un nuovo dove».
E anche Venditti riprende il suo viaggio per visitare la sua città, per fare esplodere ancora di più la sua voce e fare un ulteriore scatto in avanti guardando dentro se stesso, «vorrei addirittura suonare per le strada come il pifferaio di Hamelin, per dire svegliati a questa città spenta: l’unica zona illuminata è San Pietro perché è abitata da un Papa che ha le palle. Sul resto vige una cappa oscura».
Tortuga è un album in bilico tra analogico e digitale, tra passato e futuro, tra sonorità che ricordano Benvenuti in Paradiso e ritmi nuovi. Sono nove le tracce che ci portano a fare un giro per Roma, tra i sentimenti e le sonorità che ritroveremo quest’estate nelle discoteche di tutta la penisola. Ne siamo certi. Sulle note di Ti amo inutilmente Venditti si mette a ballare (abbiamo ascoltato con lui l’album nel suo studio immerso nel verde della campagna romana).
Poi invece si siede e si commuove quando ascoltiamo Tienimi dentro te, a suonare le note sul pianoforte è Alessandro Centofanti, scomparso recentemente.
«È stato molto di più di un compagno di strada, è stato un fratello», dichiara il cantautore romano che dedica l’album proprio a lui.
E poi ci sono le canzoni d’amore: (Ti amo inutilmente), Attento a Lei, L’ultimo giorno rubato e Nel mio infinito cielo di canzoni, dedicato al proprio mestiere.
«Chi fa musica dà molto di più al pubblico che alla compagna – ci rivela Venditti - l’amore è l’unico sentimento che deve essere alimentato. Molte volte chi ti sta vicino subisce ciò che sei. Lo ammetto: in molte ci hanno provato e stare con me ed è molto complicato».
Chiude l’album la canzone-summa, quella che consegna il titolo all’album, «un brano che avevo già in mente nel 2003», che parla dei duri anni di piombo, dei lenti che si ballavano alle feste di classe, delle versioni di greco «che se sbagli una frase non c’è più rimedio», e poi del silenzio assoluto e di quella luce che filtrava nella camera buia. Intanto «io piangevo e scrivevo/ e picchiavo sul piano più sicuro di sempre».
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