Cosa mangeremo tra un secolo non lo sa nessuno. Come, si può provare ad immaginarlo. Di sicuro non mangeremo le pillole e gli integratori che già negli Anni Settanta bollava come improbabili Isaac Asimov, lo scrittore di fantascienza che pure aveva previsto tutto. Meglio pensare che del nostro cibo, sia prodotto a chilometri zero sia che provenga da una filiera lunga, sapremo tanto. Sapremo dove era piantato l’albero da cui quel contadino raccoglierà la nostra mela. Come è avvenuta la coltivazione nel frutteto, a quali trattamenti è stato sottoposto il melo, dove e quanto è stato stoccato il suo frutto, quando è arrivato alla catena di distribuzione e infine sui banchi di vendita. Tutto attraverso un’etichetta intelligente - a qualcuno interessa sapere quanto CO2 ha provocato la produzione della nostra mela? - con i dati che viaggiano in rete e attivabili con un semplice tocco, come su uno schermo touchscreen degli smartphone di ultima generazione.

Sembra un futuro lontano. Tra 36 giorni sarà una realtà visibile e vivibile al «Future food district» di Expo 2015, un megapadiglione di 6500 metri quadri tra Decumano e Cardo, le vie che sono la lisca e le branchie del sito che visto da un drone sembra un pesce. Il padiglione del futuro è stato studiato dall’architetto Carlo Ratti direttore del Senseable City Lab del Mit di Boston. I prodotti in vendita saranno oltre 1500 provenienti da fornitori italiani sotto il marchio Coop. Le «etichette aumentate» che saranno la carta di identità dei cibi del futuro sono state elaborate da Accenture. ABB ha costruito il robot YuMi che all’ingresso orienterà i visitatori/consumatori aiutandoli nelle scelte. Mentre nell’Exhibition Area realizzata in collaborazione con la Società Umanitaria, ci saranno modelli e installazioni interattive per conoscere più a fondo le nuove tecnologie in tema di agricoltura, produzione di cibo in ambienti ostili ed utilizzo di energie alternative e rinnovabili.

Nel presentare il progetto su cui Coop lavorava da due anni, il docente del Mit di Boston Carlo Ratti ha spiegato che questo viaggio nel futuro del cibo sarà un modo per riempire le lacune del passato: «Ogni prodotto ha alle spalle un racconto preciso. Oggi queste informazioni arrivano al consumatore in modo parziale. In un prossimo futuro saranno gli stessi prodotti, attraverso le loro etichette intelligenti, a raccontarci la loro storia». Marco Pedroni, il presidente di Coop Italia, giura che non sarà solo un padiglione futuristico: «L’ipertecnologia fine a sè stessa non ci interessa. Nell’Exhibition Area i prototipi delle fattorie del mare ci faranno riflettere sui nuovi modelli di agricoltura».

Il padiglione studiato a Boston sarà percorribile attraverso cinque vie, che raccontano altrettante filiere del cibo. I prodotti non saranno ammassati in cesti e banchi come negli abituali negozi o nelle catene della grande distribuzione ma saranno appoggiati su tavoli ipertecnologici. Basterà sfiorare un prodotto perchè sul soffitto appaia la sua storia dal momento della raccolta fino alla vendita. Ma non solo: perchè ciascuna delle cinque filiere che come strade dividono il padiglione - latte e derivati, the caffè e cacao, cereali e birra, carne e pesce, ortofrutta e vino - racconterà una storia visibile anche senza alcun ausilio tecnologico. I prodotti saranno disposti a gradoni partendo dall’alimento base fino a scendere ai derivati e ai lavorati. In cima alla piramide alimentare ci sarà il latte. Più sotto il latte pastorizzato e lavorato tra intero e parzialmente scremato e ovviamente il burro. Fino ad arrivare a yogurt e formaggi, i suoi derivati principali.

A guidare i visitatori/consumatori nel padiglione del cibo del futuro ci saranno pannelli elettronici ma pure YuMi, un robot di ultima generazione dotato di braccia, vista e tatto costruito nei laboratori di ABB. Il robot YuMi - acronimo di «you and me» a testimoniare il rapporto che si vuole stretto tra uomo e macchina - sarà in grado di fornire informazioni ma pure di manipolare le merci in esposizione. Un ausilio alle «etichette aumentate» studiate da Accenture in grado di fornire tre livelli di informazione diversa su ogni singolo prodotto alimentare tra i 1500 in esposizione: il primo livello fornisce le informazioni primarie sul prodotto, il secondo fornisce dati su eventuali elementi allergizzanti e i valori nutrizionali, il terzo, più completo, racconterà tutta la storia della filiera di quel cibo.

Ma il futuro nasconde più di un’incognita. Nel «Future food district» qualcuna verrà raccontata. Con lo studio dell’aumento previsto della popolazione mondiale ad ogni abitante della Terra rimarranno 1,8 metri di terreno coltivabile per produrre cibo. Le fattorie del mare già in funzione e che si potranno osservare possono essere un’alternativa. Due i progetti esposti: la serra modulare galleggiante Jellyfish Barge elaborata dall’Università di Firenze per dissalare l’acqua marina con una produzione giornaliera di almeno 150 litri e Mahre Center dell’Università Milano Bicocca con i bancali galleggianti chiamati «floating system» per la produzione di ortaggi. Ma siccome ancora non basterà, specialmente in quei Paesi a basso sviluppo tecnologico che possono contare su modelli di produzioni molto basici, nell’Exhibition Area si potrà familiarizzare con larve, vermi e insetti - oltre 1900 le specie animali a sangue freddo commestibili - in grado di fornirci, in modo per oggi ancora ritenuto alternativo alla normale produzione di cibo, proteine, fibre, acidi grassi e oligoelementi. Di sicuro più nutrienti delle pillole di troppi romanzi di cattiva fantascienza. Basta abituarsi al futuro.