La normalità del bene. Si fa fatica a convincere Stefania e Mario a parlare della loro famiglia. Sono due persone riservate. «Non abbiamo fatto nulla di straordinario»¸ dicono. E invece nella storia di questi quasi quarantenni – lei medico, lui impiegato in banca - che vivono nella provincia di Brescia di normalità non ce n’è molta.
Amici dei Bambini, associazione che da anni sostiene le famiglie nel percorso di adozione, ha assegnato a Stefania e Mario Faccardi «L’Oscar della famiglia più accogliente d’Italia»: un anno fa sono infatti diventati genitori di 5 figli, 4 ragazze di 17, 16, 14 e 8 anni e un ragazzino di 13, tutti fratelli biologici, nati e cresciuti in Ucraina.
«I nostri biondini non passano inosservati», dicono Stefania e Marco. Nulla avviene per caso, in questa storia: «Siamo arrivai in Italia con i bambini di venerdì 17, pensa un po’», ride Stefania. Ma sa bene che non c’è molto da scherzare: era il 17 gennaio del 2014, pochi giorni e il Paese sarebbe precipitato nel caos della guerra civile.
«Siamo ripartiti per il rotto della cuffia». Appena in tempo per risparmiare la vista dei carri armati ammassati sul confine russo ai figli, che vengono proprio da un villaggio nel Nord del Paese, 200 chilometri della capitale, Kiev, e 80 dalla tristemente nota Cernobyl.
I vostri figli sanno quello che sta succedendo a casa loro?
«Soffrono molto per le notizie che giungono dal loro Paese e che noi seguiamo con apprensione. Appena giunti in Italia i ragazzi ascoltavano il tg ucraino e poi quello italiano: “Perché dicono cose così diverse? Perché il tg in ucraino non dice nulla della guerra?” , chiedevano. Difficile spiegare…».
Stefania, come si diventa, tutto in una volta, mamma di cinque figli?
«E’ stata una cosa naturale: avevamo pensato all’adozione fin da quando c’eravamo sposati, anche se avessimo avuto figli nostri. Per i primi tre anni di matrimonio non sono arrivati bambini e allora abbiamo avviato le pratiche. Nel frattempo, continuava la nostra attività di volontariato in Ucraina: conoscevamo e passavamo il tempo più o meno con 150 bambini costretti a vivere in orfanotrofio, come hanno fatto i nostri figli per quasi tutta la loro vita. Abbiamo cominciato a ospitare le tre ragazze più grandi per dei soggiorni estivi, a casa nostra, e sapete che cosa è successo il primo giorno? Una di loro è andata in salotto, ha visto una matrioska e ha contato le statuine: “Sono sette! – ha detto – Ci siamo tutti. Siamo noi”. Già ci immaginava tutti e sette insieme, come una famiglia. Come fai a scegliere chi adottare e chi far rimanere lì? Come fai a separare fratelli che da sempre vivono insieme e sono tra loro legatissimi? Abbiamo avviato la domanda di adozione per tutti e cinque».
E la vostra domanda è stata respinta tre volte.
«Abbiamo impiegato quattro anni a far capire al giudice del tribunale, dopo accurate valutazioni dello psicologo e dell’assistente sociale, che questa famiglia nasce dal volersi bene. “Cinque figli? Non se ne parla proprio”, ribatteva il tribunale e noi giù a impugnare le pratiche e far ripartire l’iter. C’è anche chi pretendeva che a casa avessimo una stanza per ogni figlio, come se in Italia nessun figlio ‘biologico’ condividesse mai la cameretta con i fratelli».
Marco, come si passa a vivere da coppietta a ‘big family’ con quattro adolescenti per casa?
«Si vive nel disordine assoluto, con la lavatrice sempre in azione, si urla se necessario e si combatte ogni giorno per organizzare tutto. Un po’ come fanno tutte le famiglie, no?».
Stefania, a che ora suona la sua sveglia?
«Alle 6, come quella di tanti altri. Le tre grandi preparano a turno la colazione e vanno a scuola da sole, la più piccola e il ragazzino sono accompagnati da noi. Il pomeriggio le nonne e gli zii ci danno una mano ma i ragazzi sono molto bravi e responsabili: sanno come autogestirsi. A volte stanno a scuola anche nel pomeriggio per recuperare un po’ l’italiano, che è l’ostacolo più duro. La sera, dopo cena, tutti danno una mano: c’è chi passa la scopa, chi pulisce il tavolo con la spugna. No, non sono mica perfetti: a volte brontolano, come tutti gli adolescenti, ma non avendo mai avuto una vera famiglia, sono anche contenti di stare un po’ nel ‘nido’ di casa. Capita che il sabato sera lo passiamo tutti insieme a giocare a Monopoli. Poi, certo, hanno i loro amici, vanno in oratorio, al Cai».
Marco, che cos’è stata la cosa più difficile da affrontare?
«Spiegare alla piccola che cosa fossero un papà e una mamma: lei è cresciuta in orfanotrofio, accudita dalla sorella maggiore, felice perché poteva dire agli altri bambini che quella ragazza era la sua vera mamma. Durante questi quattro anni di viaggi in Ucraina per andare a trovarli, la bimba ci vedeva sempre di corsa, tra un ufficio e l’altro. Quando la direttrice le ha chiesto secondo lei che cosa dovrebbero fare un papà e una mamma lei ha risposto: “I documenti: mamma e papà sono le persone che devono fare bene i documenti”. Ha passato le prime settimane in Italia a disegnare documenti e timbri».