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Andrea Segré: «Quell’oro nel piatto che non riconosciamo più»

di Fabio Di Todaro
24 Marzo 2015

Il professore, fondatore di Last Minute Market, nel suo ultimo libro spiega che per evitare gli sprechi dobbiamo imparare di nuovo a fare la spesa

L'oro nel piattoÈ un libro che racconta l’origine del cibo e il suo valore, partendo dalla necessità di restituirgliene almeno uno. Va parecchio controcorrente Andrea Segrè, direttore del dipartimento di scienze e tecnologie agroalimentari dell’università di Bologna, nel nuovo libro “L’oro nel Piatto”, pubblicato da Einaudi. Un saggio di duecento pagine che punta a far riscoprire la preziosità di ciò che portiamo ogni giorno a tavola. L’importanza del cibo non è nel messaggio che filtra dal piccolo schermo, ma nell’equilibrio da ricercare giorno dopo giorno e che non può ricondurre soltanto all’eccellenza agroalimentare. Serve cibo di buona qualità per tutti, innanzitutto.

Segrè, che rapporto hanno gli italiani col cibo?

A oggi pessimo, sebbene il Paese sia dotato di un patrimonio agroalimentare che non ha pari nel mondo. Patrimonio nel senso di ricchezza e di biodiversità: di colture e di cultura. Nel mondo tutti vogliono prodotti italiani. Noi, invece, non consideriamo questa risorsa e mangiamo male in casa nostra. Ecco: non siamo più in grado di riconoscere l’oro che abbiamo nel piatto.

Quanto può incidere la crisi economica su questa tendenza?

Può avere delle ricadute, ma anche qui si trascurano alcune evidenze scientifiche. La dieta mediterranea costa circa un terzo del fast food. Mente chi afferma che mangiare bene costa di più. La dieta mediterranea è un esempio concreto di come si possa mangiare in maniera salutare, spendere il giusto e seguire uno stile di vita corretto dal punto di vista nutrizionale e relazionale.

Quali dati supportano le sue parole?

Per la tesi di una studentessa abbiamo analizzato i dati emersi dai carrelli della spesa. Il menù consumato dagli italiani costa settimanalmente 48,17 euro a persona. Quello mediterraneo appena due euro in più. Se invece ci si nutre in un fast food la spesa supera 130 euro. Di pari passo, però, cresce l’impatto delle patologie legate all’alimentazione. È per questo motivo che oggi obesità, diabete, malattie cardiovascolari, osteoporosi, carie dentali e alcune forme di tumore sono parimenti diffuse, tra abbienti e non.

Image by © Marius Becker/dpa/CorbisCome si incastona in questo discorso la sua battaglia contro lo spreco alimentare?

Dobbiamo imparare di nuovo a fare la spesa. Oggi usciamo spesso dal negozio soddisfatti per il rapporto quantità-prezzo di ciò che abbiamo acquistato e non pensiamo che qualche giorno dopo, a casa, la nostra pattumiera conterrà sistematicamente più cibo del frigorifero. Anzi: spesso è proprio il frigorifero a essere scambiato per una pattumiera. Il 42% del totale degli sprechi alimentari in Italia si materializza all’interno delle mura domestiche ed equivale a un quarto della nostra spesa. Raccontato in numeri: all’incirca otto miliardi all’anno. Ecco perché dico che basterebbe comprare meglio e quanto davvero serve per non dilapidare un bene così prezioso.

Servirebbe un corso di educazione alimentare, quindi.

Sì, per recuperare il patrimonio di conoscenze che avevano i nostri antenati e ricominciare con l’economia domestica. Oggi tutti i Ministeri coinvolti si dimostrano sensibili al tema, però nessuno procede. Mancano gli atti concreti. Prima di fare recupero, lo spreco andrebbe prevenuto.

Ma gli italiani si rendono conto di quanto sprecano?

No, ed è per questo motivo che abbiamo avviato un progetto di compilazione del diario domestico dello spreco alimentare. Un campione rappresentativo di famiglie italiane è già impegnato nel monitoraggio scientifico del cibo sprecato. È un’idea nuova che segue la scia di quanto da tempo si sta sperimentando nei Paesi anglosassoni. Lo studio consentirà di capire quali prodotti alimentari sono maggiore oggetto di spreco all’interno dei nuclei domestici italiani. Il diario ha un vantaggio rispetto a tutte le altre metodologie esistenti: registra anche il cibo che viene smaltito attraverso gli scarichi domestici – latte, succhi di frutta o caffè avanzato che si getta nel lavandino – o dato da mangiare agli animali domestici. L’esperimento offrirà indicazioni chiare sull’intervento da realizzare per ridurre gli sprechi domestici. I dati saranno presentati il 5 giugno, nel corso della Giornata mondiale dell’Ambiente.

Image by © Birgid Allig/CorbisPer rimanere con i piedi per terra: quanto cibo è possibile spostare dalle tavole dei ricchi a quelle dei meno abbienti?

Si potrebbe fare molto, non prima però di aver regolamentato la donazione del cibo invenduto. È quanto chiediamo che venga fatto nel corso di Expo e inserito nella Carta di Milano. Servirebbe una semplificazione normativa senza ripercussioni per la sicurezza alimentare. La legislazione italiana è stringente e mette davanti a tutto la tutela del consumatore. Il caposaldo è corretto, ma occorrerebbe trovare un compromesso per ridurre lo spreco di cibo, oltre che la fame tra chi ha meno possibilità.

Quanto sono certi i benefici del riciclo?

Le prove paiono solide. Da un progetto realizzato da Last Minute Market per l’Emilia Romagna è emerso come nel 2013 nella sola regione sia stato possibile recuperare oltre 600 tonnellate di prodotti alimentari, più di 41mila pasti pronti e prodotti farmaceutici per un valore superiore a 131mila euro. Il risparmio è stato calcolato in 2,4 milioni di euro. A trarre beneficio dal recupero sono stati 112 enti dediti all’assistenza dei più deboli.

Sul tema, dunque, c’è una discreta sensibilità.

Ma passare alla vie di fatto è più complesso: è necessario fissare obiettivi su scala nazionale, trovare un accordo tra i vari attori della filiera, costruire una rete di soggetti beneficiari, individuare un’altra strada per la mangimistica animale e una soluzione per i prodotti che hanno superato il termine minimo di conservazione, che non equivale alla data di scadenza.

Twitter @fabioditodaro

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