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Codega impegnato in una partita di tennis
Codega impegnato in una partita di tennis

Una caduta da una moto, un tuffo mal riuscito, una malattia. La schiena fa crac. Da un momento all’altro ci si trova seduti su una sedia a rotelle in un mondo che non è più il tuo. Caso, destino, sfortuna? Poco importa a chi dar la colpa, succede. E non si può dire “non mi riguarda” perché può realmente capitare a tutti: su cento lesioni, 65 sono causate da traumi (il 50% incidenti stradali, il 25% cadute, il 16% altre cause come per esempio le aggressioni, il 9% traumi sportivi…) e 35 da malattia (il 28% da neoplasie, il 27% da problemi vascolari, il 16% da problemi infiammatori…). Ma bisogna trovare il modo di reagire. Come ha fatto Nicola Codega, oggi 43 enne che 17 anni fa ebbe un grave incidente stradale e rimase in sedia a rotelle.

Testo di Nicola Codega*
Ricordo quei pomeriggi interminabili all’Unità spinale di Firenze, i minuti, le ore e i momenti infiniti in cui il tempo sembra non scorrere mai. Ma c’è stato un momento, breve e intenso che ha cambiato il mio modo di reagire alla mia condizione. Ero alla macchinetta del caffè, quando mi si avvicina un ragazzo sulla sedia a rotelle poco più grande di me dicendomi: “Ricordati sempre che la vera disabilità non è nella gambe, ma nella testa!”.

In quel periodo di parole ne sentivo tante: “Dai che tanto passa”, “Bisogna avere pazienza”. Parole che entravano da un orecchio e uscivano dall’altro, soprattutto se pronunciate da “normodotati”. Quella frase, invece, era completamente diversa dalle altre e mi faceva riflettere. E ho iniziato a pensare che: “Se lo dice lui che è nella mia stessa condizione, forse è veramente così”.

Ho cominciato a rifletterci soprattutto nei primi giorni fuori dall’ospedale. I più terribili perché ti senti a contatto con la realtà che non è più quella di prima. Io sono alto 1.90 e sulla sedia 1.25: in casa le uniche cose alla mia altezza erano diventate il letto e il divano. Gli unici sollievi erano le visite degli amici. Ho iniziato allora a guardarmi intorno, a riflettere: avrebbe potuto andarmi peggio, avrei potuto non esserci più.

Durante i ricoveri ho conosciuto tante persone: alcune con lesione cervicale, ragazzini e, altri, che purtroppo non ci sono più. Ho iniziato così a rimboccarmi le maniche e quella frase è diventata il “leitmotiv” della mia vita: col tempo sono riuscito a mutare il trauma in una nuova opportunità per far vedere ciò che sono e quanto valgo, sia a me stesso che agli altri. La mia reazione è figlia dello sport che ho praticato: atletica leggera. Mi ha aiutato a non mollare mai, a capire cosa vuol dire sacrificarsi e allenarsi per conseguire un obiettivo: così è la vita fatta di problemi che vanno guardati in faccia e affrontati, occorre fare tutto ciò che possiamo per cercare di risolverli così un domani non rimarremo col dubbio di non averci provato.

Si vive una volta sola: non abbiamo altre opportunità. La vita è un palcoscenico: dobbiamo decidere se essere attori protagonisti o semplici comparse, io ho deciso di viverla da protagonista. Oggi lavoro, recito, gioco a tennis, vado in palestra e scio. Visto che l’input per reagire mi è arrivato da un’altra persona sulla sedia a rotelle, ho deciso di trasmettere la mia forza e la mia energia agli altri scrivendo la mia autobiografia (“Sempre in piedi”) per aiutare le persone. La “vera disabilità è nella testa non nelle gambe”: noi non corriamo con le gambe ma con la testa e lo facciamo molto più veloce di tante altre persone.

*Nicola Codega, paraplegico dal ’98 per un grave incidente stradale. Di sé racconta: “Dopo l’operazione alla colonna vertebrale sono stato circa due mesi a letto con la febbre tra 39 e 42 con tanto di morfina, sacche alimentari e drenaggi, dopodiché sono stato operato a entrambi i polmoni. In 16 anni ho subito ben 13 interventi chirurgici a causa di varie complicazioni”.

Ps il 3 maggio 2015 a Verona si corre per raccogliere fondi a favore della ricerca della cura per le lesioni spinali. Ulteriori info

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