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Bonotto, in fabbrica la collezione di 17mila opere d'arte

di Giulia Crivelli

2' di lettura

Incidente generazionale: Giovanni Bonotto usa queste due parole, apparentemente criptiche, per spiegare come sia nato l’avvicinamento all’arte dell’azienda fondata dal nonno nel 1912, diventata negli anni un modello di business forse unico al mondo.

«All’inizio qui si producevano solo cappelli di paglia, poi sono arrivati i tessuti – spiega Giovanni Bonotto –. Quando mio padre Luigi prese in mano l’azienda, all’inizio degli anni 70, perché così richiesero le vicende famigliari, unì la sua passione per l’arte contemporanea alla necessità e volontà di fare bene l’imprenditore, di contribuire allo sviluppo del territorio e delle persone che lavorano e vivono qui».

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Giovanni Bonotto

Qualche giorno fa Luigi Bonotto ha ricevuto a Milano il premio “Cultura + Impresa”. Arrivato alla quinta edizione, è la principale iniziativa in Italia dedicata al riconoscimento e alla valorizzazione delle best practice nelle sponsorizzazioni e partnership, nelle produzioni culturali e fondazioni culturali d’impresa e, last but not least, nell’applicazione dell’art bonus. «I premi fanno sempre piacere e negli anni mio padre, l’azienda e la Fondazione Bonotto ne hanno ricevuti tanti. Ma non è per questo che crediamo oggi più che mai in quello che facciamo – sottolinea Giovanni Bonotto –. Ci crediamo perché pensiamo che con la cultura si mangi, che l’arte generi maggior valore economico e sociale per i territori del nostro Paese». Negli anni sono stati oltre 300 gli artisti che hanno collaborato e sono stati ospitati a Molvena (Vicenza) e oggi molte delle opere della collezione sono disposte nei circa 10mila metri quadrati dell’azienda: sparpagliate e “godibili” negli uffici, nelle zone di passaggio, in quelle di produzione nei magazzini.

«Nella nostra zona fino agli anni 70 c’erano decine di manifatture tessili: ora si contano su una mano. Sono convinto che la Bonotto abbia resistito e continuato a ideare e produrre tessuti apprezzati da marchi della moda e del lusso di tutto il mondo perché l’arte ci ha dato energia – aggiunge Giuseppe Bonotto, direttore creativo dell’azienda –. Non sono cose che si possono dimostrare matematicamente o che si realizzano seguendo un manuale. Tutto nasce dalla curiosità per le arti, dal riconoscimento dei propri limiti e del fatto che pittori, scultori, poeti, scrittori ci fanno conoscere mondi “altri da noi”. La mente e il cuore hanno potenzialità infinite, ma devono aprirsi e a volte da soli non riusciamo. Con l’arte è possibile».

Nel 2016, grazie alla solidità dei bilanci ma anche alla condivisione del progetto culturale, il gruppo Zegna ha acquisito la Bonottoa spa, lasciando totale autonomia gestionale alla famiglia.

«Abbiamo chiuso il 2017 con un fatturato di 30 milioni e una buona redditività – conclude Giovanni Bonotto –. Due dati che misuriamo in euro, certo. Non vivo su Marte. Il valore dell’azienda e della Fondazione Bonotto, nata nel 2013, io preferisco però calcolarlo su altri parametri. E lo stesso ha fatto il gruppo Zegna».

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