Qwant, arriva in Italia il motore di ricerca francese che rispetta la privacy

Il sistema punta a espandersi a 50 miliardi di ricerche entro il 2021. Arrivano 18 milioni di capitali freschi per lo sviluppo

La home page di Qwant (Alain M.)

Se i dati personali sono diventati l’oro dell’economia digitale, il motore di ricerca francese Qwant, che alla raccolta dei dati personali dei suoi utenti dichiara di aver rinunciato, si è tirato la zappa sui piedi o ha indovinato il business dei prossimi anni? Non avere in archivio schede dettagliate su viaggi, gusti personali, ristoranti frequentati e regali acquistati penalizzerà Qwant al tavolo degli inserzionisti pubblicitari o, al contrario, lo premierà agli occhi degli internauti? Ma soprattutto, cos’è Qwant?

Se lo cercate con Google, che per intenderci è il suo antagonista, Qwant compare come “il motore di ricerca che rispetta la tua privacy. L’idea risale al 2011, anche se non è nuova. Anche Duck Duck go, Startpage e Ixquick (gli ultimi due della stessa famiglia) sono motori di ricerca che non tracciano l’utente. C'era anche Blekko, passato sotto l'ala di Ibm. Per due anni i fondatori di Qwant lavorano alla messa a punto del sistema, che debutta in Francia e in Germania il 4 luglio, in coincidenza con il giorno dell’indipendenza americana. Scelta non casuale, per una startup che ha dichiarato guerra a colossi come Google o Yahoo.

Qwant protegge e rispetta la privacy e la vita dei propri utenti secondo le normative europee. È un valore di cui gli utenti stanno prendendo consapevolezza – spiega l’amministratore delegato Alberto Chalon -. Il nostro secondo valore fondamentale è la neutralità nel nostro algoritmo di ricerca naturale, ovvero noi per fini economici non andiamo ad alterare la posizione nei risultati di ricerca”.

Nel 2014 in Qwant investe il gruppo editoriale tedesco Axel Springer, che acquista il 20% del capitale. L’anno scorso 25 milioni di euro arrivano dalla Banca europea degli investimenti. E oggi il motore di ricerca si prepara a un aumento di capitale. La Caisse des Dépôts, la banca pubblica francese, ha stanziato 15 milioni di euro per entrare in Qwant e altri 3,5 milioni aggiunge Axel Springer. Il controllo resta in mano ai fondatori: lo stesso Chalon, il presidente Éric Léandri, il vice Jean-Manuel Rozan e Patric Costant.

I finanziamenti servono al piano di espansione di Qwant. In Italia ci si può collegare al portale, ma il gruppo francese, spiega Chalon, “farà un lancio ufficiale entro due mesi, presentando con una conferenza cos’è Qwant e aprendo un’unità locale per le relazioni sul territorio”. Spagna, Portogallo, Inghilterra, Polonia e Belgio sono le prossime destinazioni. “L’obiettivo dei prossimi 2-3 anni è concentrarci in Europa, che è l’unico mercato in cui c’è l’anomalia di un player che ha il 95% di ricerche”, annuncia l’ad.

Per insidiare lo strapotere di Google, Qwant avrà bisogno di allargare il suo raggio d’azione. “Abbiamo due miliardi e mezzo di richieste l’anno – è il dato che fornisce Chalon -. È un numero considerevole perché dietro gli schermi c’è un numero considerevole di visitatori al giorno”. La sola Google, due anni fa, dichiarava di ricevere 3 miliardi di richieste al giorno. Entro il 2021 Qwant punta a raggiungere i 50 miliardi di ricerche ogni anno e 500 milioni di euro di utile. Se Mountain View si mantenesse ai dati del 2015, svilupperebbe 1.095 miliardi di ricerche negli stessi dodici mesi. “Abbiamo dimostrato che c’è una nicchia di mercato più o meno piccola disposta a fare un cambio da quello che è l’attuale gigante che padroneggia in Europa – rivendica Chalon -, alternativo nei valori e nella proposta dei contenuti”.

Perché Qwant ragiona in termini di richieste e non di utenti? “Quando un utente entra nel nostro sito, la nostra infrastruttura cancella l’ip e il numero della macchina dell’arrivante, e se rientra il giorno dopo, non so chi sia – approfondisce l’ad -. Questo ha due effetti. Se non chi sei, non mi posso ricordare cosa hai fatto e quindi non posso vendere né gestire il dato. Secondo: non do risposte ad hoc, ma agnostiche”. Per assicurare la propria neutralità la startup ha sottoposto la propria infrastruttura all’analisi dell’autorità indipendente francese per la protezione dei dati personali.

Per Chalon la rinuncia allo sfruttamento delle informazioni cedute dagli utenti non mina il business del motore di ricerca, ad esempio, la vendita di spazi pubblicitari. “Un motore di ricerca parte un punto di vantaggio della sua proposta, cioè che l’utente si affaccia e ti pone una domanda – approfondisce l’ad -. La risposta si divide in due mondi: la parte naturale, che viene dall’indicizzazione; la parte a pagamento. La pubblicità non ha bisogno di conoscenza dei dati dell’utente, perché compare nel momento in cui l’utente pone la domanda. È efficiente senza essere intrusiva”.

Esempio, secondo la logica Qwant: se cerco un viaggio a Capri, otterrò i risultati naturali della ricerca più annunci che hanno tra le parole chiave Capri. Fine. “I cookie servono per il dopo”, insiste Chalon. Ossia per proseguire con pubblicità mirate dopo che uno esce dal motore di ricerca e, ad esempio, approda sul sito di un giornale online.

La soluzione di Qwant in effetti funziona, ma solo finché si resta nel suo ambiente. Torniamo all’esempio di cui sopra. Se cerco attraverso Qwant “hotel Barcellona”, il primo risultato nella categoria web è la lista dei 30 migliori alberghi secondo Booking. Entro nel sito, cerco il mio hotel e quando vado a leggere le notizie su un sito (esempio Ubitennis), mi ritrovo le pubblicità di Booking. Appena si esce dal recinto di Qwant, le ricerche personali tornano a circolare. Non potrebbe essere altrimenti, ça va sans dire. Se cerco hotel New York (primo risultato è Tripadvisor) su Qwant, ma non entro nel portale di prenotazioni, quando torno su Ubitennis mi ritrovo la pubblicità di Barcellona ma non quella della grande Mela. Il dato non è uscito.

Non contestiamo il modello Adwords – aggiunge Chalon -. Non troviamo giusto che ciò che l’utente confida al motore di ricerca in quel momento continui a essere condiviso con tanti altri player del mercato”.

Qwant è disponibile in 42 Paesi e 28 lingue. Per affermarsi è riuscita a stringere un accordo con Firefox, che ha creato una versione speciale in cui il motore di ricerca francese si attiva di default. Installarlo su Chrome, ad esempio, “non è semplice”, ammette Chalon. In compenso settimana scorsa la startup ha lanciato un’applicazione, sia per Ios sia per Android. “Bisogna rendere accessibile a tutti i motori di ricerca la parte mobile, che è gestito da due grossi mondi, entrambi chiusi. Ci sono molti paletti da superare, anche se l’utente vuole utilizzare il tuo motore di ricerca – osserva l’ad -. In Russia Android aveva solo Google e gli è stato imposto di mettere anche il motore di ricerca russo Yandex. La ritengo una cosa di buon senso: non sfruttare una posizione dominante perché un’alternativa di mercato non possa nemmeno comparire. Serve una sana competitività e credo che sia doveroso che l’Europa lo prenda in considerazione”.