19 Dic 2014

Cuba, l’anno della svolta

Sono bastati 45 minuti di telefonata tra Obama e Raùl Castro per cancellare 53 anni di silenzi e di negazione reciproca? È presto per dirlo, ma quanto è accaduto il 17 dicembre 2014 potrebbe effettivamente rappresentare una data storica non solo nel rapporto tra Stati Uniti e Cuba ma anche per l’intera storia delle relazioni […]

Sono bastati 45 minuti di telefonata tra Obama e Raùl Castro per cancellare 53 anni di silenzi e di negazione reciproca? È presto per dirlo, ma quanto è accaduto il 17 dicembre 2014 potrebbe effettivamente rappresentare una data storica non solo nel rapporto tra Stati Uniti e Cuba ma anche per l’intera storia delle relazioni internazionali, poiché il rapprochement tra Washington e L’Avana potrebbe mettere fine a una delle crisi più longeve dell’età contemporanea del secondo dopoguerra. 

L’annuncio è giunto inaspettato a mezzogiorno (le 18 italiane) quando i due presidenti hanno annunciato il reset dei rapporti bilaterali. Una notizia importante che tuttavia non coglie di sorpresa: fin dal 2009, dai primi mesi dell’insediamento di Obama alla Casa Bianca, il commander in chief statunitense aveva fornito alcuni segnali di distensione affievolendo le restrizioni riguardanti i ricongiungimenti familiari ed eliminando alcune limitazioni sull’invio di rimesse verso l’isola. L’arresto di Alan Gross nel dicembre 2009, il contractor di Usaid – l’agenzia americana per lo sviluppo internazionale che fa parte del Dipartimento di stato –, aveva congelato tale processo senza mai bloccarlo definitivamente. Tuttavia è il 2013 l’anno che aveva posto le basi per il riavvicinamento tra gli arci-nemici. Se sul piano interno la semplificazione delle norme per viaggiare all’estero, compresi gli Stati Uniti (gennaio 2013), e l’eliminazione del sistema della doppia moneta basato (ottobre 2013), facevano immaginare una stagione “riformista” nella Cuba castrista, l’avvio di colloqui segreti in Canada nel giugno dello stesso anno tra le delegazioni dei due governi, sotto la mediazione del governo di Ottawa e la Santa Sede, rappresentava la vera chiave di volta nel rapporto congelato. Un evento, questo, che ha portato i primi significativi effetti con l’eclatante stretta di mano tra Obama e Castro al funerale di Mandela a Johannesburg, il 10 dicembre 2013. I due episodi avvenuti nel 2014 e con protagonista la Santa Sede – la visita in marzo di Obama a Roma e le lettere della distensione inviate da Papa Bergoglio ai due leader nell’estate appena trascorsa — dimostravano come fossero ormai maturi i tempi per un reset dei rapporti.

Il rilascio, appunto, di Alan Gross e di una spia Usa tenuta in carcere a Cuba per oltre venti anni in cambio di tre dei cinque agenti segreti cubani del Wasp Network (noti anche come Miami Five) ha fornito il pretesto per la stipulazione di un accordo di più ampio respiro e utile a incardinare le tappe di riavvicinamento seguendo una sorta di road map. L’accordo prevede:

1.La riapertura delle ambasciate a L’Avana e a Washington: pur non avendo intrattenuto relazioni ufficiali dal 1961, i due paesi comunicavano sotto mediazione svizzera dal 1977 attraverso le “Oficinas de intereses” che fungevano da ufficio di rappresentanza diplomatica.

2.Nuove facilitazioni per i ricongiungimenti familiari dei cubano-americani, mentre i viaggi turistici restano per ora banditi.

3.Il rilascio di 53 detenuti ritenuti da Washington come prigionieri politici.

4.Il permesso per i cittadini statunitensi di viaggiare verso l’isola e di poter rientrare in patria con merci per un valore non superiore ai 400 dollari (alcool e tabacco compresi ma per un valore combinato che non superi i 100 dollari). 

5.L’aumento del tetto sulle rimesse che i cubano-americani potranno inviare ogni trimestre nell’isola (da 500 a 2.000 dollari).

6.La revisione dello status di Cuba come di paese sponsor del terrorismo, stabilito nel 1982.

7.Agevolazioni alle istituzioni finanziarie che saranno autorizzate ad aprire conti correnti nelle banche cubane.

8.Un miglioramento delle reti di telecomunicazione e un incremento dello scambio di informazioni.

In base all’intesa, nelle prossime settimane partiranno una serie di incontri di alto livello tra le due amministrazioni che porteranno entro gennaio 2015 a una missione a L’Avana di una delegazione del Dipartimento di stato Usa, guidata da Roberta Jacobson, responsabile dell’emisfero occidentale degli uffici di Foggy Bottom. Questo riavvicinamento dovrebbe infine porre le basi per una più stringente cooperazione bilaterale su temi di più stretta rilevanza come la lotta al narcotraffico e al traffico di esseri umani, nonché nella protezione ambientale. Una sorta di road map che potrebbe preludere ad una visita ufficiale di Obama o Kerry nell’isola entro la fine del 2015.

Il riavvicinamento tra Washington e Cuba può dunque rappresentare una grande chance per entrambi i paesi. Se le basi di partenza paiono più sfavorevoli per gli Stati Uniti, anche in considerazione delle pressioni politiche trasversali, e in particolar modo della contrarietà ad un allentamento del bloqueo da parte della comunità cubano-americana della Florida, per Cuba il rapprochement si spiega in termini di pura opportunità politica. 

La crisi economica e politica del Venezuela, da circa un biennio in costante default, è stata determinante e decisiva nelle scelte di politica estera cubana. Infatti, per Caracas diventava sempre più oneroso rispettare l’accordo con L’Avana, risalente ai tempi di Chávez, secondo il quale il regime bolivariano si impegnava a fornire a Cuba un’assistenza finanziaria ed energetica (quantificabile in 80-100mila barili giornalieri di petrolio) in cambio di medici e insegnanti provenienti dall’isola dei Caraibi. In pratica gli aiuti forniti dal Venezuela a Cuba rappresentavano all’incirca il 20% del pil cubano. Ecco dunque che le esigenze di realpolitik cubane da un lato, e gli affanni economici venezuelani dall’altro, hanno rappresentato il vero acceleratore di un processo di riavvicinamento che probabilmente avrebbe richiesto ancora altri anni se Caracas si fosse trovata in una congiuntura politico-economico più favorevole. 

È altrettanto evidente però che le aspettative economiche e politiche cubane derivanti da questo nuovo corso diplomatico sono numerose e in parte legate alla questione embargo. Dal punto di vista economico, un allentamento del bloqueo potrebbe permettere sia un rientro di capitali cubani nel paese, sia la possibilità di un afflusso maggiore di IDE utilizzabili in progetti cubano-stranieri come quelli – già in fase avanzata – di cinesi e brasiliani per l’istituzione di free trade area. Allo stesso tempo, una maggiore apertura internazionale potrebbe favorire un clima di rinnovamento nelle strutture politiche ed economiche del regime incamminando Cuba verso un modello di sviluppo più simile a quello vietnamita, piuttosto che a quello cinese. 

Parimenti, un miglioramento delle relazioni diplomatiche permetterebbe a Cuba di legittimarsi dinanzi al mondo latino come attore cardine e assolutamente non sconfitto dall’embargo Usa. Ne è un diretto effetto la partecipazione di Obama e di Raùl Castro al prossimo summit dei paesi delle Americhe – vertice all’interno dell’Osa – a Panama (10-11 aprile 2015), dove per la prima volta da oltre mezzo secolo saranno presenti entrambi i leader.

Se parlare di riavvicinamento o di nuova era nelle relazioni diplomatiche tra due paesi che sono stati acerrimi nemici può sembrare forse prematuro, quanto sta andando in scena da oltre 18 mesi tra Washington e L’Avana rappresenta sicuramente una svolta non scontata ma necessaria soprattutto nell’ottica della sopravvivenza del sistema cubano. La speranza è, dunque, che il «somos todos americanos» pronunciato da Obama, e abilmente fatto suo da Raùl Castro, vada oltre un semplice compromesso.

Giuseppe Dentice, ISPI Research Assistant

 

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