17 Dic 2014

Economia: se la Cina tira il freno

Dopo oltre due decenni di tassi di crescita a doppia cifra, la Cina si appresta a segnare un sensibile rallentamento nel 2015, stimato al 7%, in ulteriore ribasso rispetto al già poco soddisfacente 7,4% del 2014. La produzione industriale arranca e con essa gli investimenti, che hanno raggiunto nell’ultimo trimestre del 2014 il ritmo più […]

Dopo oltre due decenni di tassi di crescita a doppia cifra, la Cina si appresta a segnare un sensibile rallentamento nel 2015, stimato al 7%, in ulteriore ribasso rispetto al già poco soddisfacente 7,4% del 2014. La produzione industriale arranca e con essa gli investimenti, che hanno raggiunto nell’ultimo trimestre del 2014 il ritmo più basso negli ultimi 13 anni. Colpevole un mercato immobiliare stagnante rispetto al boom dell’ultimo decennio, che ora  – come la storia delle bolle immobiliari insegna – sta per scoppiare, rischiando di trascinare con sé gran parte dell’economia. La fine del boom immobiliare si ripercuote su molti altri settori manifatturieri (dai materiali all’arredamento) con conseguenze drammatiche sull’occupazione. Nel tentativo di limitare i danni, la banca centrale ha tagliato i tassi a novembre per la prima volta in due anni, accelerato ulteriormente il credito e ridotto i tassi sui mutui per incentivare la domanda. Ed è pronta a mettere mano al coefficiente di riserva obbligatoria delle banche, per allentare i vincoli, peraltro già bassi, all’erogazione di credito.

Ma le misure di emergenza, volte a evitare un calo eccessivo della produzione e dell’occupazione, rischiano di compromettere ulteriormente la capacità dell’economia di riposizionarsi su un sentiero di crescita sostenibile. L’espansione cinese degli ultimi 3 decenni, infatti, è stata fondata su una serie di squilibri. In primo luogo, squilibri macroeconomici: l’eccesso d’investimento e di credito rendono l’economia vulnerabile in quanto costellata di progetti d’investimento (al più) poco profittevoli, che rischiano di tradursi in una mole crescente di crediti inesigibili per le banche. Oggi, accelerare ulteriormente il credito per evitare un brusco rallentamento ha il profumo amaro dell’olio sul fuoco… Il ruolo eccessivo dell’investimento – rispetto al consumo delle famiglie – è accompagnato da un altro eccesso, della domanda estera (le esportazioni) rispetto alla domanda interna. Ciò rende l’economia cinese estremamente dipendente dal resto del mondo, il che aggiunge ulteriore fragilità.

Gli altri squilibri che Pechino non potrà a lungo ignorare sono quello demografico – con una forza lavoro che sta per ridursi, e il bonus demografico ormai incassato – e quello territoriale – con molte province fortemente specializzate su pochi settori di beni capitali e strumentali. Solo 5 (su 31) province non hanno registrato una stagnazione del Pil nella seconda metà del 2014, 4 delle quali (Tibet, Chongqing, Guizhou and Xinjiang) nelle regioni occidentali, e in alcuni casi soprattutto per merito dei trasferimenti del governo centrale alle minoranze etniche. Tra le altre province, quelle più resistenti e stabili sono anche le più diversificate settorialmente, e più votate alla produzione di beni di consumo, cioè le province costiere. Il rallentamento dell’immobiliare ha avuto ripercussioni negative su alcune province occidentali ricche di risorse naturali e di industrie pesanti. Le più colpite dal rallentamento, invece, le province ricche di risorse naturali (come lo Shanxi e Hebei). Anche gli ultimi dati sul reddito mostrano crescenti divergenze destinate a esacerbarsi nel prossimo anno. Rispetto a una crescita media del reddito disponibile nelle aree urbane del 9,3% nel 2014, alcune province segnano il passo (Chongqing 3% e Hainan 6%). 

Sin dall’inizio del 2014, il governo centrale ha annunciato di voler modificare il modello di crescita, intervenendo anche sugli incentivi delle singole province a crescere rapidamente per mostrarsi particolarmente meritevoli verso Pechino. Tra i criteri per la promozione dei dirigenti pubblici locali, più peso è oggi dato a indicatori di benessere, innovazione, e riduzione dell’inquinamento. Poiché la stabilità sociale è comunque un obiettivo prioritario del governo centrale e locale, l’attrazione di grandi imprese sul territorio sarà sempre una priorità. In alcune province, gli effetti sono già visibili. Heilongjiang ha annunciato un pacchetto biennale di misure di stimolo volte a finanziare progetti infrastrutturali. Shanxi si sta orientando verso lo sviluppo di tecnologie per ridurre l’utilizzo di carbone. 

Pechino ha indicato che il nuovo modello di crescita deve contemplare il passaggio a una crescita più contenuta ma più sostenibile, impegnandosi a ridurre il debito dei governi locali e l’eccesso di capacità produttiva in molti settori e province. Ma le disuguaglianze e le crescenti divergenze inter-provinciali metteranno a dura prova la capacità del governo di far fronte ai crescenti squilibri socio-economici: la spesa per consumo è cresciuta del 12,4% nel Jiangsu e del 14,2% nello Zhejiang, ma solo del 2,8% in Chongqing.

Nonostante il rallentamento degli ultimi anni, la Cina ha guidato la crescita mondiale sin dall’inizio della recente crisi finanziaria. L’effetto domino sarà rilevante. Secondo l’Ocse, una riduzione della crescita della domanda cinese di 2 punti percentuali per due anni ridurrebbe il Pil mondiale di 0,3 punti percentuali all’anno. I paesi maggiormente legati alla Cina come importatore ne saranno maggiormente compromessi, in particolare il Giappone (il suo principale fornitore di beni capitali), mentre gli Stati Uniti e l’Europa ne risentiranno relativamente meno.

Il resto dell’Asia nel suo insieme non crescerà quanto la Cina, e se anche saprà diventare una location attrattiva per gli investitori, non sarà un mercato altrettanto allettante. Nel 2015 il Pil cinese crescerà di 1,2 miliardi di dollari, e contribuirà per il 30% alla crescita del Pil mondiale. Gli Stati Uniti contribuiranno per appena il 22%. Anche scontando un sensibile rallentamento, l’economia cinese rimarrà il motore della crescita mondiale nel prossimo futuro. Per le imprese è ormai tempo di guardare alla Cina come a un paese multicentrico, con molti potenziali mercati nelle province interne, spesso con opportunità più promettenti di altri paesi limitrofi.

Alessia Amighini, Dipartimento di Economia e Business (DiSEI), Università del Piemonte Orientale (Novara) 

 

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