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Questo articolo è stato pubblicato il 26 ottobre 2014 alle ore 15:34.
L'ultima modifica è del 26 ottobre 2014 alle ore 18:38.

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Tre piazze e una stazione. Prima il M5S al Circo massimo, poi La Lega Nord a Milano e ieri - in contemporanea - le due anime della sinistra, una a Firenze alla Leopolda e l'altra a Piazza San Giovanni. Tutte manifestazioni politicamente molto significative. Le ultime due in modo particolare perché mettono a nudo i dilemmi della sinistra italiana.

Dilemmi antichi e non ancora del tutto risolti. Questa volta aggravati dal fatto che un pezzo di sinistra è al governo mentre un altro è all'opposizione anche se formalmente sostiene il governo. Perché questo è il punto: la Cgil è un pezzo della sinistra italiana che si è mobilitata contro un governo di sinistra. È questa la differenza fondamentale con l'altra manifestazione contro la riforma dell'art.18, quella del 2002 con Cofferati e i tre milioni di partecipanti. Allora l'avversario era Berlusconi. Oggi è Renzi. E fa una bella differenza.

Per la sinistra sindacale Renzi è un grosso problema. Alla Cgil e alla sinistra Pd stare al governo in realtà non interessa. Quindi vincere le elezioni non è una priorità. Anzi è un fastidio. Costringe ad alleanze scomode. E poi vincere vuol dire governare e oggi governare è sinonimo di cambiare. Meglio stare alla opposizione. Per chi deve tutelare lo status quo l'opposizione è il posto ideale, soprattutto di questi tempi. La strategia politica di Renzi invece è completamente diversa. Il premier vuole costruire una nuova sinistra pragmatica, riformista e vincente. Da qui l'obiettivo di fare del Pd un partito aperto, capace di sparigliare il gioco, di mettere in discussione vecchi miti, di attraversare confini oltre i quali la sinistra non è mai andata. Un partito destinato a governare l'Italia a lungo per cambiare veramente le cose. Approfittando anche della crisi della destra.

È dal 1948 che la sinistra italiana è stata una minoranza elettorale. Il quadro non è cambiato nemmeno negli anni della Seconda Repubblica. Anzi. La combinazione di sistema maggioritario e di discesa in campo di Berlusconi ha aggravato il problema. Dopo aver perso l'occasione nel 1994 di vincere a mani basse contro una destra divisa, per la sinistra e il suo maggior partito la strada è stata tutta in salita. In nessuna elezione a partire dal 1994 ha avuto più voti della destra. Nemmeno quando ha vinto. Infatti le sue vittorie nel 1996 e nel 2006 sono state il frutto della combinazione di ingegneria coalizionale, errori della destra e circostanze particolarmente favorevoli. E in ogni caso sono state vittorie di Pirro. Le troppe divisioni e i troppi dilemmi irrisolti si sono tradotti in governi deboli e instabili. E alla fine è arrivato il disastro del 25 Febbraio 2013. Quel giorno è morta definitivamente la vecchia sinistra. La mobilitazione di Piazza San Giovanni non la farà rinascere.

Il 25 Febbraio è stato un trauma per milioni di uomini e donne di sinistra. Il nuovo Pd è nato quel giorno. L'accettazione dentro il partito della necessità di un cambiamento radicale nasce da quella drammatica sconfitta che ha aperto la strada a Renzi e alla sua strategia di costruire un partito maggioritario in grado di attrarre consensi oltre il bacino tradizionale della sinistra. L'esito del voto europeo di Maggio dice che almeno per ora ci sta riuscendo. Successo straordinario. Il Pd ha preso addirittura più voti della Cdu-Csu della Markel. Ma come si vede nel grafico in pagina il Pd di Renzi non è quello che ha preso più voti in assoluto. Il record spetta a Veltroni. È lui che si è inventato l'idea del Pd e del partito a vocazione maggioritaria. E se i suoi oppositori ex-Ds non avessero fatto la mossa stupida di costringerlo alle dimissioni oggi ci sarebbe lui al posto di Renzi. Invece il bel risultato del Pd nel 2008 è stato buttato via. E non è un caso che molti dei responsabili della cacciata di Veltroni fossero ieri in Piazza San Giovanni.

Il Pd di Renzi però è diverso da quello di Veltroni. Quello dell'ex sindaco di Roma era un Pd che aveva fatto il pieno dei voti a sinistra. Invece, come si vede dai dati recentemente pubblicati da Itanes, quello di Renzi è un Pd che ha fatto breccia tra l'elettorato moderato, tra commercianti, artigiani, piccoli imprenditori. Anche in zone del Paese da sempre ostili alla sinistra. Ma sbaglia chi pensa che questi dati servano a dipingere Renzi come un leader di destra, in fondo non dissimile da Berlusconi. Come si fa a dire che non sia di sinistra la riduzione delle tasse ai redditi medio-bassi (gli 80 euro) quando contemporaneamente si sono aumentate le tasse sulle rendite finanziarie? E la semplificazione del divorzio è di destra o di sinistra? E i provvedimenti annunciati su unioni civili e cittadinanza agli immigrati? Senza tener conto del fatto che la maggioranza dei problemi sul tappeto che affliggono questo paese non sono etichettabili in base allo schema sinistra-destra. Sono semplicemente problemi da risolvere superando le resistenze di corporazioni varie, compresi i sindacati. Decisamente Renzi è un grosso problema per Cgil e minoranza Pd.

Insomma parlare del premier come se fosse un leader di destra è un alibi utile a confondere le acque. La realtà è che Renzi è il leader di una sinistra diversa, una sinistra che accetta la sfida del cambiamento. Non è detto che ci riesca. Ma almeno ci prova. Ed è questa la vera ragione della sua popolarità che resiste, nonostante tutto.

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