L’arte di “ricreare il mondo”: sette strade per il poeta del terzo millennio

Qual è il futuro della poesia? Come si “sente” la poesia oggi, nel suo stato di salute? Ecco alcuni spunti per gli autori di domani.

 

di Daniele Ciavolino
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«Ogni testo è una macchina pigra che chiede al lettore di fare parte del proprio lavoro. Guai se un testo dicesse tutto quello che il suo destinatario dovrebbe capire: non finirebbe più», così Umberto Eco, nelle sue Sei passeggiate nei boschi narrativi del 1994, edito da Bompiani. Ciò vuol significare che l’immediatezza è una categoria più utile alla ricerca storiografica che a perseguire una sincera ragione poetica; infatti, il mito contemporaneo della condivisione crea, spesso, false aspettative nel mondo dell’arte, rispetto alla reale qualità delle produzioni.
Dunque, come si “sente” la poesia oggi, nel suo stato di salute? Ecco, perciò, alcuni spunti per il poeta del nuovo millennio.

 

1) Ricorda di osare, di esporre con coraggio le tue idee e di difendere le tue scelte consapevoli
Il poeta si meraviglia, si adira, si slancia nell’ignoto, prova l’estasi della gioia; eppure, non resta sospeso a guardare il mondo dall’alto. I suoi versi, quando sono coraggiosi, assumono un grande potere; bisogna far stridere l’acciaio, combinare mille sensazioni tra loro, trovare il punto di rottura e precorrere i tempi, anche se il pubblico non sembra pronto per il cambiamento. Era una vita fa, quando Jules Verne immaginava il viaggio dalla Terra alla Luna o quando Epicuro liberò l’umanità dalla paura della morte;

Gerard Manley Hopkins (traduzione di M. Clementi), Il gheppio

“Questa mattina io sorpresi del bianco mattino il prescelto,
del reame del giorno il delfino, il gheppio, apparso con l’alba
a macchie, nel suo cavalcare
una quota in cerchio (sotto di lui stabile l’aria e calma) e poi scavalcarla
in alto: come ascendeva alla briglia dell’ala increspata,
nell’estasi! Poi via, in avanti, oscillante,
lama di pàttino in curva su pista ghiacciata, radente,
lo slancio e lo scivolo, il vento a contrasto frenava. Il mio cuore nascosto
fu scosso dal volo: che impresa, che alta maestria!
Brutale beltà ed atto e valore, o aria, o gloria, o piuma, qui
si riuniscono a fibbia! E il fuoco erompe da te un bilione
di volte più bello, dove più il rischio è mortale. O mio cavaliere!
Di questo non è meraviglia: il solco più laborioso giù nella zolla
fa brillare l’aratro, e i biancazzurri tizzoni, o mio amato,
cadono e sfregandosi insieme sprizzano l’oro vermiglio”.

 

2) Ricorda, il poeta ricrea il mondo
Se la nuova visione è migliore o peggiore, ciò dipende solo dalle situazioni contingenti; se il nuovo mondo rispetta le leggi, oppure se parla la stessa lingua di quello reale, non ha alcuna importanza. Se il poeta fosse soltanto un fotografo potrebbe anche fare a meno di arrovellarsi le meningi; infatti, tale compito sa svolgerlo benissimo una macchina o un automa. Solamente strappando via quel sottile diaframma che separa la selva interiore dalla realtà, si potrà davvero pronunciare la parola “io”. Il poeta è nient’altro che una lumaca la quale, abbandonato il proprio guscio, percorre miglia e miglia per trovarne, pur sempre, uno nuovo;

Juan Ramon Jimenez (traduzione di F. Tentori Montalto), D’un tratto mi dilata

“D’un tratto, mi dilata
la mia idea,
e più grande mi fa dell’Universo.

Allora, tutto sta
dentro di me. Stelle
dure, mari profondi,
idee d’altri, terre
vergini, sono la mia anima.

E a tutto comando io,
mentre senza comprendermi,
tutto pensa a me”.

 

3) Ricorda che pubblicare un libro, arricchirsi con il successo editoriale, avere migliaia di followers o vincere il Premio Nobel non ha alcuna importanza.
Siamo uomini, non dei, perciò c’è bisogno di rimanere saldamente con i piedi sul terreno. La ricerca spasmodica dell’adulazione altrui rinsecchisce la poesia e sterilizza l’originalità. Chi scrive sinceramente vorrebbe davvero avere del tempo per dedicarsi all’effimero. Tuttavia, il poeta non è un eremita, passa tra la folla, ama, stringe amicizie, lavora, vota alle scadenze elettorali, guida l’automobile, usa le nuove tecnologie, va in bagno, ma, pur sempre, intimamente insieme con il suo “uccellino azzurro”, citando Charles Bukowski (e David Bowie);

Emily Dickinson (traduzione di S. Raffo), Io sono nessuno

“Io sono nessuno! Tu chi sei?
Sei nessuno anche tu?
Allora siamo in due!
Non dirlo! Potrebbero spargere la voce!

Che grande peso essere qualcuno!
Così volgare — come una rana
che gracida il tuo nome — tutto giugno —
ad un pantano in estasi di lei!”

 

4) Ricorda cos’è la poesia
Ricorda che la poesia, anche nell’epoca in cui viviamo, così dominata dal verso libero, rimane pur sempre struttura architettonica, matesi, melting pot musicale, perché altrimenti sarebbe soltanto una semplice prosa oppure un frastuono rap. L’irrazionale viene imbrigliato dal senso estetico, la melodia è l’elemento persistente, chiarifica, sussurra al lettore la chiave di interpretazione del testo. Nascondi le rime come fossero preziosi tesori e usa clausole ritmiche, non comporre cattedrali anacronistiche, ma, al contrario, porta con te una buona dose di sano scetticismo. Meglio studiare i classici, piuttosto;

Eugenio Montale, Le rime

“Le rime sono più noiose delle
dame di San Vincenzo: battono alla porta
e insistono. Respingerle è impossibile
e purché stiano fuori si sopportano.
Il poeta decente le allontana
(le rime), le nasconde, bara, tenta
il contrabbando. Ma le pinzochere ardono
di zelo e prima o poi (rime e vecchiarde)
bussano ancora e sono sempre quelle”.

 

5) Ricorda di vivere prima di scrivere e non il contrario
L’artificiosità ha il sapore della plastica (a meno che non sia quello l’intento manifesto). Portarsi dietro un taccuino, registrare un’impressione, un’annotazione personale sul proprio device aiuta ad imprimere l’attimo fugace in cui sentiamo la nostra ragione di esistere. Ciò non vuol dire vivere per scrivere, bensì fermare il tempo mentre scorre. Il poeta piove sul mondo, perciò quando non si prova nulla, sarebbe meglio tacere, godersi la vita e basta, piuttosto che forzarsi a indossare i vestiti di un altro;

Arthur Rimbaud (traduzione di L. Mazza), Sensazione

“Nelle azzurre sere d’estate, andrò per i sentieri,
punzecchiato dal grano, a pestar l’erba tenera:
trasognato sentirò la frescura sotto i piedi
e lascerò che il vento mi bagni il capo nudo.

Io non parlerò, non penserò più a nulla:
ma l’amore infinito mi salirà nell’anima,
e me ne andrò lontano, molto lontano come uno zingaro,
nella Natura, lieto come con una donna”.

 

6) Ricorda di “leggere” il presente, perché negare il tempo in cui si nasce sarebbe un grave errore.
Non si compone soltanto con oggetti poetici predefiniti dalla tradizione (rose, farfalle, puledri, chiome, zefiri), ma anche con quelli reali intorno a noi, sebbene possano apparire impoetici; è necessario cantare in qualche modo il petrolio, l’elettrone, il cancro, la nevrosi, la saliva della raccoglitrice di arance. Scrive Italo Calvino ne “Le città invisibili”: «L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio»;

Jorge Luis Borges (traduzione di T. Scarano), La Luna

“C’è tanta solitudine in quell’oro.
La luna delle notti non è la luna
che vide il primo Adamo. I lunghi secoli
della veglia umana l’hanno colmata
di antico pianto. Guardala. È il tuo specchio”.

 

7) Ricorda di non pensare a nulla quando inizia la composizione.
Slittamenti, associazioni di idee, ontogenesi, anche da una parola che risuona solitaria nella mente può espandersi la poesia. E’ il codice sorgente che bisogna stendere per primo, come quando si nota un movimento indistinto fuori dal nostro campo visivo: è lì, di lato, ne avvertiamo l’esistenza e nulla più. La riflessione giungerà non appena ci saremo voltati e avremo dato a quel moto invisibile la giusta gravezza e la forma che riconosceremo.

Fernando Pessoa (traduzione di A. Tabucchi), Non sto pensando a niente

“Non sto pensando a niente,
e questa cosa centrale, che a sua volta non è niente,
mi è gradita come l’aria notturna,
fresca in confronto all’estate calda del giorno.

Che bello, non sto pensando a niente!

Non pensare a niente
è avere l’anima propria e intera.
Non pensare a niente
è vivere intimamente
il flusso e riflusso della vita…
Non sto pensando a niente.
È come se mi fossi appoggiato male.
Un dolore nella schiena o sul fianco,
un sapore amaro nella bocca della mia anima:
perché, in fin dei conti,
non sto pensando a niente,
ma proprio a niente,
a niente…”

 

*Daniele Ciavolino, docente di Lettere e scrittore originario di Torre del Greco (NA), collabora con Ilmiolibro.it. Ha pubblicato due raccolte poetiche, “Le fragili attese” e “Il grande sogno universale”, vincitrice del premio “Ilmioesordio – Poesia 2017”
a cura del Festival Internazionale di Poesia di Genova.

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