Festa della Rete 2014: le considerazioni dense del ritorno

Questo weekend siamo stati a Rimini, alla Festa della Rete (ex Blogfest). La premessa è: l’evento mi piace, perché riesce a contemperare lo spessore della maggior parte dei panel con un clima da cazzeggio da gita liceale. (Il che spiega anche perché mi sono cosparsa di trasferelli a forma di pesciolini per ironizzare sulla Rete)

Il dato impressionante è il numero di blogger professionisti che c’erano a moderare: non parlo di chi guadagna dal proprio blog (anzi, sono sempre più convinta che la via sia quella di tenere le collaborazioni fuori dal blog), ma di chi, acquisendo competenze parallelamente al suo blog, riesce a campare di quella che prima era una passione amatoriale.

Un’altra considerazione è che quando hai 500 blogger con cui relazionarti capisci che quello che farà andare avanti certe persone e lascerà a margine altre è il loro valore, e la capacità di produrne: sì ai contenuti, ma anche l’umiltà di sapere che in fondo siamo persone che osservano e scrivono e che pertanto stanno sullo stesso piano di altri indipendentemente dal loro numero di followers. Persone che mettono un crostino di pane sotto un’acciuga, uno smalto abbinato a un rossetto. Poi c’è chi quella competenza l’ha sviluppata, e la sa comunicare bene. Ma non stiamo salvando vite.

Qui vi lascio delle considerazioni, alcune parecchio dense e che necessitano di essere diluite, sui panel che hanno coinvolto me e Fabrizio: riflessioni a margine, la cosa più importante che è stata detta, quella che avrei voluto dire. Ho imparato tantissimo dagli speaker che erano sul palco: grazie a tutti!

Parla come mangi

Si parlava di nuove professioni: cosa vuol dire Strategist? Nostra nonna capisce cosa facciamo? È diverso svolgere un lavoro dal nome incomprensibile in agenzia o da freelance? Una delle cose che ho detto è: bisogna riportare il senso, e qui lo ripeto e lo ribadisco. Un senso che si attacca ai due estremi, quello del blogger e quello del professionista (pr, Strategist, account), per riportare l’equilibrio tra le parti e ridare spessore a quello che mettiamo in circolazione. Il senso passa per me da de punti:

  • la grammatica, il lessico: ha senso masturbarsi pubblicamente ostentando un linguaggio settoriale anche quando la richiesta è quella di farsi capire da tutti? In senso lato: smettiamola di dire “ho cenato da Massimo” o “Silvio è un gatekeeper” in occasioni di dibattito pubblico ma anche quando c’è un gruppo di persone che non fanno il nostro lavoro.
  • la visione a lungo termine di qualsiasi strategia di comunicazione: ci siamo abituati a essere circondati da instacene, instaeventi, instarelazioni. Attività che nascono e muoiono nel giro di una serata, in cui la pressione per essere visibili è forte quanto aggressiva, e di cui l’unica traccia che rimane è uno storify disperso nell’ipertwitter. Ricominciamo a ragionare. A pensare in relazione a quello che vogliamo costruire da qui a uno due anni. Alle scie di senso e alle domande che spargiamo nel settore. Abbiamo confuso troppe volte il digitale con l’effimero.

Social Eating

Favoloso parlare di social eating, facile farlo alla Festa della Rete, meno facile portare il concetto fuori da Milano o da quei palchi dove chi ha dimestichezza con lo spippolamento dei tasti sul proprio smartphone considera certi panel già sentiti. La mia esperienza con gli eventi fuori da Milano e Roma, da quelle capitali insomma dove le azioni di comunicazione da e con i blogger hanno già smosso e consolidato la necessità di vivere a pieno certi spazi online per cogliere tutte le opportunità possibili, è a tratti sfiduciante.

Persone che non rispondono alle mail, che ignorano twitter, che non comprendono le possibilità che derivano dalla rete: il lavoro da fare qui è 1000 volte più impegnativo, ora dobbiamo capire se l’unico ritorno che ci interessa è una tempestosa ondata di tweet il giorno dopo una cena o se possiamo permetterci di pensare a lungo termine. E nel frattempo formare, chiederci, osservare studiare.

Professione Foodwriter

Un famoso ristoratore ci disse che dovrebbe essere vietato far visitare gli Uffizi a chi non abbia ancora mangiato il panino col lampredotto. Fuor d’iperbole, se il cibo è parte della cultura di un territorio, lo è anche quello non tradizionale. L’evoluzione del gusto, scoprire cosa sarà la prossima cucina locale, accettare e spiegare l’influenza dei sapori e degli ingredienti, ma anche di piatti e ricette, dalle altre nazioni. Quel viaggio che parte dal gusto, ma anche dalla disponibilità di questo o quel prodotto, o dalle ultime richieste in fatto di salute e benessere. Il parlare di tutto questo è cultura. E la responsabilità sta in chi scrive di food, nel foodwriting. Senza prendersi troppo sul serio, con senso della misura, ma non è vero che era solo un piatto di pasta.

Vino Pop

Francesco Zonin ha fatto una considerazione sensata, che ho recepito come promemoria da non dimenticare nelle mie prossime lotte con cantine che si ostinano a voler parlare in maniera complicata.
“Anche le cantine più austere possono usare un tono divertente”: è consigliabile, e la leggerezza non squalifica un contenuto di qualità.

Il lato foodie dell’Expo

Questo sull’Expo era il panel su cui ero più scettica, per questione di interesse personale: guardo all’Expo con grande distacco, e non ho voglia di aggiungere la chiosa “in vista dell’Expo” alla mia normale attività per aggiungere valore.

I miei panelisti mi hanno fatto cambiare idea, manifestando un amore per Milano e un ottimismo in vista dell’Expo che è riuscito a scalfire la mia indifferenza. Soprattutto ho capito che se vuoi trovare delle opportunità in Expo2015, è utile avere un atteggiamento che è quello del freelance: essere proattivi, lavorare in maniera eccellente, fare rete, non aspettare a casa che il lavoro (o l’Expo) bussi alle tue porte con un’offerta per te ma creare tu stesso quell’offerta.

(La sera del sabato siamo scappati da Piergiorgio Parini, al Povero Diavolo. Abbiamo completato la trimurti dei nostri chef preferiti italiani insieme a Crippa e Petza).

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C'è Un commento

  1. Ora mi sono rimessa alla pari.
    Il parla come mangi (o mangiano) mi ha colpito anche se sono arrivata in ritardo. Mi ero persa però l’attenzione al lungo termine, che mi sembra la prospettiva giusta per chi, come me, si diverte a fare anche la blogger.
    Su cosa succede fuori (ma anche dentro) le grandi città circa l’uso di Internet concordo a pieno. Io penserei anche a come diverse generazioni usano in modo diverso il web e non lo dico solo per gli over 65 anche gli under 30 (giusto a titolo d’esempio).
    Sull’Expo mi sono persa il panel, rimango ancora scettica pur sperando che ci stupisca. Ora vado a leggere degli Expottimisti

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