Stop a quei marchi di sigarette «iconici», quelli storici, come Gauloises, Lucky Strike, Gitanes, Fortuna e Marlboro Gold. Così leggendari, che bastava il nome a renderli attraenti. È la proposta di Marisol Touraine, ministro francese della salute, decisa a disincentivare il fumo soprattutto fra i giovani.
«L’obiettivo – dice – è distruggere l’attrattiva di molte confezioni di sigarette». E, quindi, le sigarette dovrebbero essere vendute in confezioni a tinta unita, con immagini e scritte che «avvertono» sulle conseguenze del fumo.
In Australia i pacchetti neutri sono una realtà già dal 2012 e, secondo la British Lung Foundation Penny Woods, hanno già fatto registrare un calo del numero dei fumatori.
Ma queste iniziative funzionano davvero? Lo chiediamo a Roberta Pacifici, direttore dell’Osservatorio fumo, Alcol e Droga dell’Istituto Superiore di Sanità. «L’esperienza dell’Australia – spiega –, il primo Paese a introdurre il pacchetto neutro, dice di sì: è stato registrato un calo dei consumi. Ma, insieme a questo sono stati fatti anche altri interventi, come l’innalzamento delle tasse, che rende il pacchetto molto costoso: è difficile capire quale sia stato più efficace. Forse la sinergia fra i due».
Intervenire sui pacchetti, secondo Pacifici, però, «non serve molto a disincentivare chi già è dipendente. Piuttosto, a ridurre il numero dei nuovi consumatori, per cui l’iconografia, i simboli, il packaging hanno sicuramente appeal. Basti pensare ai pacchetti delle sigarette “slim”: sono pensati per le donne, con fantasie floreali e colori accattivanti».
Ed è sufficiente? «Credo che un prodotto meno “bello”, meno trend, sia anche meno allettante. Ma questa non può essere l’unica misura per contrastare il fumo. Ad esempio adesso, sui pacchetti italiani, compare anche il numero verde dell’Istituto Superiore della Sanità, e stiamo ricevendo molte telefonate: i fumatori vogliono smettere».
Da qualche giorno le sigarette in commercio, oltre alle avvertenze sulla salute, hanno anche immagini shock, come ha chiesto l’ultima direttiva europea. Ma da tanti anni, ormai, ci sono scritte che avvertono che fumare fa male ai fumatori, a chi sta loro vicino e alle donne in gravidanza, causa tumori e rovina anche la pelle. Quelle avvertenze hanno funzionato?
«Sono state introdotte nel periodo in cui è entrata in vigore la legge Sirchia sul divieto di fumo nei luoghi pubblici. Abbiamo registrato un calo, ma anche in questo caso si tratta di due misure applicate contemporaneamente. Dopo un calo iniziale di fumatori, però, da 7 o 8 anni il numero dei fumatori è di nuovo in stallo. Ce ne sono più di 11 milioni e mezzo».
Ma laddove non funzionano scritte, immagini shock e pacchetti sobri, funziona il prezzo. «L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stabilito che niente disincentiva più dell’aumento del prezzo del pacchetto. Quindi gli strumenti ci sono: basterebbe applicarli. Ma questa è una scelta politica, che spetta al Ministero delle Finanze».
Via libera alle misure per disincentivare i nuovi fumatori ma, come ci conferma Carlo, fumatore accanito da 50 anni, «io il pacchetto non lo guardo nemmeno. Ne fumo almeno due al giorno, e non mi accorgo se cambia il colore o se vengono aggiunte scritte o immagini. Credo che l’impulso a smettere di fumare debba venire da dentro, almeno per chi fuma da tanto tempo».
È consapevole dei rischi che corre: «So benissimo che le sigarette fanno male: le campagne di informazione funzionano molto bene. Ma non riesco a smettere e in fondo, trovo sempre qualche scusa per non farlo. Se dovesse aumentare il prezzo? Beh, rinuncerei a qualcos’altro».