Venezia 2014

IL CASO

Venezia, Sabina Guzzanti e "La trattativa": "Un gesto di impegno civile"

Lunghi applausi alla proiezione stampa per il film che ricostruisce i rapporti fra la mafia e le istituzioni a partire dalla stagione delle bombe dei primi anni Novanta. La regista: "Racconto fatti realmente accaduti, verificati più di mille volte"

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VENEZIA - Sabina Guzzanti torna con il suo modo di fare cinema - una miscela di documentario, finzione, satira - a parlare del nostro Paese con La trattativa, film - accolto da lunghissimi applausi alla proiezione del mattino per la stampa - che ricostruisce i rapporti tra la mafia e le istituzioni nel nostro paese negli ultimi venticinque anni. Presentato fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia, dove è stato applaudito, il film trasforma la mole di libri, verbali, registrazioni processuali, ricostruzioni giornalistiche in una storia che, attraverso una messinscena dichiarata, tenta di fare il punto sulle relazioni tra gli esponenti di Cosa Nostra e alcune alte cariche dello Stato.
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"Purtroppo quelli che racconto sono fatti realmente accaduti - dice la regista in conferenza stampa, rispondendo a chi le chiede se tema qualche polemica - verificati più di mille volte nel lavoro di riscontro che ho fatto insieme agli esperti di questa materia, in Italia dagli anni Novanta in poi ci siamo abituati ad aspettare i risultati di un processo prima di poter parlare di qualcosa, ma non è che finché non si trovano i responsabili penali di un fatto, l'opinione pubblica non può venirne a conoscenza. Sulla mancata perquisizione del covo di Riina c'è poco da fare, è andata così; c'era la possibilità di venire a sapere i nomi di tutti i collaboratori della mafia nel mondo politico e imprenditoriale e si è vanificata questa possibilità. Lo stesso Borsellino in una celebre intervista diceva che non è che se un politico viene assolto vuol dire che è innocente, ma che non sono state trovate prove per condannarlo. L'opinione pubblica però dalla conoscenza di alcuni fatti può trarre le sue conclusioni".

A quattro anni da Draquila, dedicato alla ricostruzione seguita al terremoto dell'Aquila, il film, nelle sale ad ottobre, tenta di disegnare l'albero di rapporti, collegamenti e influenze che alcuni boss come Ciancimino, Riina, Provenzano hanno avuto con esponenti dello Stato come il colonnello del Ros Mori, l'ex presidente del Senato Nicola Mancino accennando anche alle telefonate tra il senatore e il presidente Napolitano, le cui intercettazioni sono poi state secretate e distrutte. "Ogni parola del mio film che riguarda il presidente Napolitano è stata controllata 1.678 volte - precisa Guzzanti - l'intervento del Quirinale a favore di un indagato sulla Corte di Cassazione e sul procuratore Grasso è una cosa grave ma documentatissima".

Con un gruppo di attori tra cui spicca Ninni Bruschetta (che interpreta alternativamente il professore di teologia che interroga Spatuzza e il pubblico ministero del processo dell'Utri) la regista ricostruisce gli eventi principali che dall'inizio degli anni Novanta (gli omicidi Falcone e Borsellino) fino al processo sulla trattativa Stato-mafia del 2013 hanno scandito i momenti di questa controversa questione.
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Per lo stile narrativo, Guzzanti si è ispirata al cortometraggio di Elio Petri del 1970 Tre ipotesi sulla morte di Giuseppe Pinelli con cui il regista di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto ricostruisce le tre versioni avallate dalla magistratura sul presunto suicidio dell'anarchico Pinelli. "Siamo un gruppo di lavoratori dello spettacolo, ci proponiamo di ricostruire": questa frase viene presa come citazione dal film di Petri per quello che la Guzzanti definisce un "gesto di impegno civile", lontano da ogni narrazione di tipo giuridico o giornalistico.

"Ho iniziato e interrotto molte volte la scrittura di questo film - spiega ancora la regista - perché mi sembrava complicato riuscire a farne solo un documentario o solo un film di finzione poi mi sono ricordata del corto di Petri. Il meccanismo che consente di passare in modo omogeneo dalla finzione al documentario fornisce al film una libertà creativa, un umorismo, e una recitazione un po' brechtiana che hanno fatto sì che questo lavoro fosse un film, da vedere in modo collettivo".

Con questo escamotage narrativo, una compagnia che mette in scena la vicenda scambiandosi le parti, la regista ha superato le difficoltà di raccontare tanti episodi intrecciati fra loro, di non avere un vero protagonista né, come li definisce lei, "buoni e cattivi". Alla ricostruzione teatrale ma piuttosto realistica una sola concessione a quel tipo di satira che l'ha resa famosa: la scelta di interpretare lei stessa (con il trucco che ben conosciamo) Silvio Berlusconi nella sequenza in cui dichiara che Marcello Dell'Utri non era a conoscenza, se non all'ultimo momento, della nascita di Forza Italia.

"Nell'apprendere certe cose e nell'approfondire queste questioni ho avuto momenti di paura e di depressione - conclude Guzzanti - ho pensato le solite cose che pensiamo tutti: me ne vado, che ci sto a fare qui? Ma lo scopo del film era metttere in grado tutti, anche chi non legge il giornale tutti i giorni o non lo legge mai, di capire quei fatti che hanno cambiato il corso della nostra democrazia. Le istituzioni italiane hanno sempre avuto paura della democrazia e hanno finito per scegliere sempre un'altra strada con qualcuno che si prende la responsabilità di prendere decisione per noi, per il bene del paese. Il film dice che se non ci fosse stata questa trattativa il nostro sarebbe stato un paese migliore e forse oggi avremmo ancora Falcone e Borsellino".