Esteri

Ucraina, il ricatto di Putin sul vertice europeo: "Se voglio prendo Kiev in due settimane"

I Ventotto sono spaccati. Ungheria, Slovacchia e Cipro frenano sulle sanzioni. Merkel infuriata con il Cremlino. Barroso riporta le minacce del presidente russo. Nel corso del summit scartata l'ipotesi di dare armi all'esercito ucraino. Cameron rievoca il lassismo europeo nei confronti di Hitler a Monaco nel 1938 di ALBERTO D'ARGENIO

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BRUXELLES - "The situation is very, very bad". Sono le 17 di sabato quando Renzi, nella veste di presidente di turno dell'Unione, incontra il presidente ucraino Poroshenko. È solo l'antipasto di una giornata nella quale tutti i leader europei prenderanno coscienza della drammaticità della situazione ucraina. Renzi è appena arrivato a Bruxelles per il summit principalmente dedicato alle nomine europee. Tutto fila liscio, il polacco Tusk, scelto anche per la durezza nei confronti di Putin, viene designato presidente del Consiglio europeo e Federica Mogherini "ministro degli Esteri" dell'Unione. Poi si passa alla discussione sui temi economici, con la Merkel, l'olandese Rutte e lo svedese Reinfeld che bloccano l'idea italiana di convocare un summit per il 7 ottobre dedicato agli investimenti e alla crescita. "È inutile parlarne prima che la Commissione europea di Juncker si sia insediata", sentenziano ricordando che il lussemburghese ha già promesso un piano di investimenti da 300 miliardi e che quindi è inutile bruciare le tappe. Il vertice straordinario resta convocato, ma sarà dedicato solo all'occupazione, come inizialmente previsto.

Fino a qui la conversazione tra i capi di Stato e di governo dei 28 partner europei scorre su binari tutto sommato normali. Ma in tarda serata, quando affrontano il dossier ucraino, sul salone del Consiglio europeo cala un'atmosfera surreale. Poroshenko, che ha già lasciato il Justus Lipsius, nel pomeriggio ha fatto una relazione drammatica della situazione. Bisogna decidere se inasprire le sanzioni contro la Russia, colpevole di avere portato in territorio ucraino blindati e migliaia di soldati. I Ventotto sono spaccati. In particolare sono in tre a frenare: Ungheria, Slovaccia e Cipro. Sono paesi dipendenti dagli interessi russi e temono che un'escalation di sanzioni e ritorsioni economiche possa mandarli gambe all'aria. I baltici invece spingono perché l'Europa, come già fatto con i curdi, spedisca a Kiev le armi per resistere ai separatisti russi. La presidente lituana Dalia Grybauskaite è durissima con Mosca, ripete quanto detto ai microfoni dei cronisti al suo arrivo a Bruxelles: "La Russia è in guerra con l'Europa".

A quel punto prende la parola Angela Merkel, descritta da diverse delegazioni presenti al vertice come letteralmente infuriata con Putin, accusato di essere venuto meno agli impegni presi durante i negoziati intessuti nelle ultime settimane da Berlino, che con Mosca ha intensi rapporti economici ritenuti fondamentali per la crescita tedesca ed europea. Nonostante gli sforzi che abbiamo fatto per tenere aperti i canali diplomatici - è il ragionamento della Cancelliera - Putin è venuto meno alle promesse e "va verso l'escalation militare". Molti leader europei, compresa la Merkel, concordano che "ora non ci sono più limiti all'imprevedibilità di Putin". Prendono atto che non è più un attore razionale, agisce spinto dal nazionalismo e dalla fame di consenso interno. E la Merkel - solitamente lucida e ponderata nei rapporti con la Russia - arriva anche all'iperbole affermando che dopo l'Ucraina potrebbe toccare a Lettonia ed Estonia. Bisogna reagire con nuove sanzioni.

In sala cala il gelo, lo scenario descritto spaventa. Prende la parola il presidente uscente della Commissione, Josè Manuel Barroso, che ha appena sentito Putin. Racconta che quando gli ha chiesto conto dei militari sconfinati in Ucraina, il leader russo è passato alle minacce: "Il problema non è questo - è la risposta dello Zar raccontata da Barroso - ma che se voglio in due settimane prendo Kiev". Come dire, non mi provocate con nuove sanzioni. Anche il britannico Cameron - che in vista del vertice Nato di giovedì a Cardiff starebbe lavorando a una forza multinazionale di 10mila uomini per mandare un segnale al Cremlino - è drastico: "Questa volta non possiamo venire incontro alle pretese di Putin, si è già preso la Crimea e non possiamo permettere che prenda tutto il paese, rischiamo di ripetere gli errori commessi a Monaco nel '38, non sappiamo cosa possa succedere dopo". Profetico visto che proprio ieri Putin ha ipotizzato un negoziato per cristallizzare la situazione in Crimea e nelle altre zone controllate dai separatisti. Diverse delegazioni confermano il dialogo tra i leader, ma in molti invitano a pesarle con cautela visto che durante uno scambio "franco" a porte chiuse spesso i concetti vengono forzati per sostenere la propria posizione.

Renzi invita i colleghi alla calma, dice di comprendere le preoccupazioni ma che la Russia resta strategica dal punto di vista economico, energetico e nei teatri di crisi in Siria e Iraq. Viene scartata l'ipotesi di armare Kiev, si passa all'ultimatum di sette giorni dopo i quali se la situazione sul terreno non sarà migliorata scatteranno nuove sanzioni europee, quelle di terzo livello. E non si esclude di rinforzarle ulteriormente in un secondo momento. Colpiranno gli stessi interessi russi messi fin qui nel mirino, il settore bancario e finanziario. Tutti restano convinti che si debba evitare l'escalation militare che avrebbe conseguenze drammatiche ed imprevedibili. La tesi di Washington e Bruxelles è che con le sanzioni non bisogna colpire la popolazione, bensì i potentati economici e gli oligarchi che costituiscono l'ossatura del potere di Putin. Nella speranza che tutti si rendano conto, cosa finora non avvenuta, che l'occidente può ferire gravemente il sistema economico russo e convincano il capo del Cremlino a desistere dal braccio di ferro in Ucraina. 
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In questa "preveggente" carta di Limes del 2008 il "Progetto Russia" della riconquista dell'Ucraina. Leggi il blog Mappa Mundi