Milano, 21 marzo 2014 - 15:55

L’ora dei videogioco fai-da-te

Lo ha detto anche Obama: «Non comprate un nuovo videogame, fatene uno». Ecco il modello Scratch messo a punto dalla celebre università di Boston

di Martina Pennisi

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I bambini di oggi si siedono sul divano, attaccano la console al televisore e iniziano a giocare. Quelli di domani parte di questi giochi e programmi sapranno costruirseli da soli, o quantomeno avranno gli strumenti per cominciare a farlo. Barack Obama lo ha detto a chiare lettere a inizio febbraio, rivolgendosi agli studenti delle scuole americane: «Non comprate un nuovo videogame, fatene uno. Non scaricate l’ultima applicazione: disegnatela. Non limitatevi a usare il vostro telefono: programmatelo».

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Crea il tuo giochino in 12 mosse

Perché? Ma, soprattutto, come? La risposta alla prima domanda è abbastanza semplice: tra tre anni il mercato delle applicazioni e dei videogiochi avrà un valore globale di 70 miliardi di dollari. In Europa le piccole iconcine hanno già creato 800 mila posti di lavoro negli ultimi 5 anni e l’Italia può aspirare alla creazione di 200mila nuove posizioni grazie alla diffusione del digitale. Il futuro è questo e lo è soprattutto in termini di occupazione. Il secondo quesito è un po’ più ostico perché chiama in causa (anche) il mondo dell’istruzione tradizionale.

Il programma CoderDojo, presente in 15 città italiane, impartisce corsi gratuiti ai bambini per imparare a farsi il proprio videogioco

Massimiliano Andreoletti, docente di didattica del gioco dell’animazione dell’Università Cattolica di Milano che collabora con l’Associazione editori e sviluppatori videogiochi italiani proprio in un’ottica formativa, spiega come esistano «già esempi virtuosi nelle scuole italiane. Un istituto primario del modenese, ad esempio, fa già programmare piccoli giochi a sui studenti. Alla facoltà di economia della Cattolica di Roma si è invece utilizzato il gioco The Sims Funky business per simulare la creazione di un’attività imprenditoriale e testare le capacità dello studente». Andreoletti riconosce allo stesso tempo l’esistenza di «pregiudizi di insegnanti e famiglie che pensano ai videogiochi come qualcosa di fondamentalmente violento» e delle «difficoltà nell’organizzare attività di questo tipo, un’ora di lezione spesso non è sufficiente». Pregiudizi che la pedagogista Barbara Laura Alaimo cerca di smontare. «Nei videogiochi - dice la Alaimo - c’è una componente di sfida verso se stessi e non verso gli altri. I ragazzini si abituano a raggiungere un livello di competenza che permette loro di passare al livello successivo. Si misurano con il successo e il raggiungimento di un risultato», spiega. Alaimo si è appassionata a tal punto all’argomento da portare in Italia con il marito Angelo Sala il programma CoderDojo. Si tratta di corsi gratuiti dedicati ai bambini di età compresa fra i 7 e i 12 anni. «Solo a Milano abbiamo già accolto più di 700 ragazzi e siamo presenti in 15 città d’Italia», racconta Sala.

Con Scratch i bambini creano videogiochi usando un linguaggio visuale che è l’anticamera dei codici dei programmatori

Sulla cattedra Scratch, una piattaforma del Massachussetts Institute of Technology con cui anche i piccoli utenti possono provare a creare videogiochi di varia difficoltà. Non si tratta di programmazione vera e propria ma dell’utilizzo di un linguaggio visuale che funge da anticamera ai più strutturati codici. E piace: «Ogni volta che apriamo le iscrizioni ci arrivano più di 500 domande». Piace a tal punto da aver attirato l’attenzione di alcune scuole: «Abbiamo fondato l’associazione Piccole variabili e dall’anno prossimo partiremo con dei corsi negli istituti. Essendo in orario lavorativo per i nostri esperti non saranno però gratuiti», spiega Sala. Scratch è stato scelto anche da Simona Cerca, fondatrice del portale Cheforte.it: «Pubblichiamo online delle lezioni per imparare a usarlo». Cerca ritiene che sia importante che i i bambini capiscano «cosa c’è dietro ai videogiochi con cui si confrontano quotidianamente» e sfruttino queste piattaforme «per imparare a concentrarsi. Basta un piccolo errore per non riuscire a ottenere il risultato sperato».

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