C’è sempre una prima volta. Mai nella vita infatti, avrei creduto di trovarmi a mente fredda, lucido e perfettamente consapevole delle mia facoltà mentali, a descrivere un film diretto da Roland “Quale metropoli distruggo oggi?” Emmerich con termini prossimi all’entusiasmo. Eppure…
Se la distanza tra due punti è la retta che li unisce, quanto è lunga la linea che congiunge i pianeti Roland Emmerich e Shakespeare? Il re dei blockbuster idioti e caciaroni e il Bardo amato da tutti e rappresentato in ogni teatro che si rispetti, giusto da qualche secolo? Più breve di quanto si possa credere.

In Anonymous si racconta una nuova versione della vita di Shakespeare, che diventa una figura di secondo piano rispetto agli altri personaggi protagonisti delle vicende narrate. L’idea di base è la teoria (chiaramente campata in aria, ma tant’è) che i lavori di Wiliam Shakespeare siano stati scritti in realtà da Edward de Vere, 17° conte di Oxford, nonchè figlio illegittimo della Regina Elisabetta I, con cui da adulto ha avuto anche, senza saperlo, una relazione incestuosa. Tra stati in guerra permanente, i teatri popolari che diventano sempre più importanti nella Londra del tempo (ah, il panem & circensem…) Shakespeare appare solo come un paria, un attorucolo senza pretese e per di più analfabeta che, in cambio di denaro, accetta di fare da prestanome al Conte che, per ovvie ragioni, non può rivelare di essere il vero autore delle tragedie e delle commedie celebri in tutto il mondo.

La prima buona idea di Emmerich è quella di lasciare onori e oneri dello script a John Orloff il quale, da par suo, scrive una storia appassionante e romantica, piena di intrighi, complotti, suspense, un vero e proprio action-thriller con almeno una dozzina di personaggi, tutti di eguale importanza e tutti perfettamente tratteggiati e bilanciati, che vivono, amano, odiano e cercano costantemente potere e vendetta. Il buon Roland, che, diciamolo, con la penna in mano si dimostra davvero un incapace, si dedica solo alla regia e qui stupisce tutti con una messa in scena sontuosa ma mai pacchiana, spettacolare e “kolossale” ma attenta ai dettagli e sempre ossequiosa nei confronti della “parola”, basti pensare alla veloce ed efficace carrellata con le diverse rappresentazioni delle opere più celebri del Bardo e alle splendide sequenze di apertura e chiusura del film che fa del teatro il suo cuore pulsante.

Dialoghi brillanti e sceneggiatura appassionante, regia equilibrata e convincente. Cosa resta per creare un’opera (quasi) memorabile? Un’ottima recitazione. Qui Emmerich compie un vero miracolo, scegliendo e sfruttando al meglio un cast straordinario. Su tutti svetta l’eccezionale Rhys Ifans, uno degli attori più sottovalutati del panorama cinematografico internazionale, dotato di immenso talento, che conferisce a Edward de Vere un alone di ironica malinconia che lo rende amabile e indimenticabile. Indovinata è anche la scelta di far interpretare a Vanessa Redgrave e Joely Richardson , madre e figlia nella vita, le due versioni, giovane e vecchia, di Elisabetta I e di affidare al sempre ottimo David Thewlis la non semplice parte di William Cecil, “villain” della situazione.

Gli inglesi, prevedibilmente, si sono “vagamente alterati” nel vedere demitizzato il loro amato simbolo e hanno letteralmente lapidato Emmerich e la sua opera. Facendo questo però hanno perso di vista il vero messaggio dell’opera che, se possibile, è molto più genuino, sincero e ossequioso nei confronti del Bardo di quanto non siano state in passato nefandezze premiate con l’Oscar (ogni riferimento all’insulso Shakespeare in love è puramente voluto).

In un insperabile slancio di poesia e stile infatti, il film rappresenta un sentito atto d’amore verso la parola scritta, il teatro tutto, Shakespeare e la sua infinita produzione letteraria perchè, come afferma uno dei personaggi alla fine del film, solo la parola vergata sulla pergamena riesce a essere più efficace della spada nel combattere l’unico nemico realmente invincibile, il tempo.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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