Un Paese piccolo, pieno di parenti e soci. Così in Italia cala il silenzio sulle molestie

A differenza di Hollywood, il mondo dello spettacolo italiano è pieno di membri di «conventicole». E le molestie rischiano di cadere nell'oblio
Un Paese piccolo pieno di parenti e soci. Così in Italia cala il silenzio sulle molestie

È passato più di un mese, da quel 5 ottobre in cui il New York Times ha pubblicato le prime rivelazioni su Harvey Weinstein.

Prima tappa: improvvisamente, in un effetto domino vorticoso, attrici, americane e non, raccontano di tutto e di più.

Seconda tappa: non c'è solo Harvey e non c'è solo il cinema. Escono rivelazioni e accuse, seguite da smentite o mezze ammissioni, in pochi casi si trovano prove e conferme. Si scopre che nulla è più difficile da dimostrare di una molestia: è sempre come in Rashomon di Akira Kurosawa (ogni personaggio ha un diverso punto di vista), è sempre con in Oleanna, la pièce e film di David Mamet: le zone grigie sono troppo dense, una nebbia di torti e ragioni, sussurri e grida.

È sempre stato così e non c’è bisogno di andare ai tempi del cinema muto. Nel 1991 Anita Hill testimoniò contro il giudice Clarence Thomas, accusandolo di molestie. Perse nella breve distanza (Thomas entrò comunque come richiesto alla Corte Suprema, motivo per cui se ne indagava la correttezza di comportamento) ma vinse, alla lunga, in termini di movimento d’opinione. Non solo: da allora molte leggi sono cambiate nel mondo libero e ogni istituzione che si rispetti ha la sua brava e vigile commissione sulle pari opportunità.

Già, ma in Italia? Due anni dopo il caso Hill, la scrittrice Angela Scarparo accusò il filosofo Giacomo Marramao di molestie sessuali. Commise l’errore di dire «mi ha trattata come un’attricetta disposta a tutto». Un gruppo di attrici, all’epoca, firmò un risentito comunicato (tra di loro Stefania e Amanda Sandrelli, Elena Sofia Ricci e Giuliana De Sio). Angela Scarparo aveva denunciato un uomo e indirettamente insultato delle donne. Il caso fu poi archiviato.

Saranno archiviate anche le molte accuse di oggi, quelle che hanno fatto saltare teste a Hollywood, nella Silicon Valley, nell’editoria, nel governo britannico? Forse no. Come ha detto Michelle Pfeiffer (non molestata né da Harvey né da altri), questo scandalo è utile, apre una conversazione, costringe le donne a ripercorrere la loro storia personale e quella collettiva. Costringe gli uomini a confrontarsi con ragionamenti che mettono in discussione presunzioni ataviche, noi cacciatori maschi, loro prede femmine. Forse no, perché questa volta ad accusare sono in tante e sono donne in gran parte popolari e potenti. Forse no, perché esiste una nuova generazione di figlie di madri lavoratrici che deve essersi detta che alla prepotenza nei rapporti professionali bisogna mettere un freno, ristabilire confini, imporre rispetto. «Anche perché, se in queste situazioni l’uomo dimostra l’autocontrollo di una zanzara di fronte al sangue, perdiamo tutti, uomini compresi», ha detto il deputato Beatrice Brignone.

Eppure, a guardare gli effetti dello scandalo Weinstein nel nostro Paese, pare di stare ai tempi di Angela Scarparo: tutti i maschi galantuomini, tutte le femmine mute.

Saranno archiviate, inghiottite nella quiete annoiata che segue ogni tempesta mediatica le dichiarazioni (per ora anonime) raccolte dalla trasmissione televisiva Le Iene? Finirà nel dimenticatoio l’intervista rilasciata a Vanity Fair da Miriana Trevisan su un incontro un po’ troppo ravvicinato con il regista Giuseppe Tornatore? E che seguito avranno le ultime indiscrezioni su Fausto Brizzi che sarebbe, appunto, il molestatore seriale di cui parlano le intervistate dalle Iene? Non ci saranno altri casi, altre testimonianze? Il rischio c’è. Un po’, perché a differenza di Hollywood, il mondo dello spettacolo italiano è piccolo, pieno di parenti e soci, di membri di «conventicole», come si diceva in quel gran film che è Caterina va in città di Paolo Virzì.

E tutti, in ogni ambiente, tengono famiglia, un contratto in vista, buoni rapporti da mantenere. Il rischio dell’oblio c’è, infine, perché l’uomo italiano fatica a condannare qualcosa che considera un vanto: la sua mascolinità. Siamo il Paese che ha inventato la figura del Latin Lover, in fondo. La spaccatura dell’opinione pubblica sui Bunga Bunga berlusconiani, come sappiamo, non era solo di natura politica.

Inoltre, se condannano le avances sguaiate, le battute imbarazzanti, le donne temono di sembrare bacchettone e gli uomini di sembrare poco virili. Tutti, maschi e femmine, temono la morte della seduzione, dell’ironia dei doppi sensi, di tutte quelle cose che fanno parte del nostro linguaggio verbale e corporeo. E si finisce con l’essere ciechi e sordi rispetto al punto centrale di questa polemica: la condanna di ogni abuso di potere e la rivendicazione del diritto a un rapporto paritario nelle situazioni professionali (E sì, anche il provino di un’attrice lo è).