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Cgia: “Boom della loro presenza nel nord-Ovest”

Lavoro, quasi 4 milioni di precari

A seguito della crisi Trentino ed Emilia epicentro del precariato. Ma in valori assoluti il Meridione è al top

Cgia: “Boom della loro presenza nel nord-Ovest”

Lavoro, quasi 4 milioni di precari

A seguito della crisi Trentino ed Emilia epicentro del precariato. Ma in valori assoluti il Meridione è al top

La manifestazione dei precari a Napoli (Gennaro)
La manifestazione dei precari a Napoli (Gennaro)
MILANO - Che siano un esercito senza rappresentanza (e per questo scendono in piazza) era assodato. Che loro fila s'ingrossino sempre più nelle aree più produttive del Paese è in parte una sorpresa. Che in valori assoluti il Meridione recita il ruolo incontrastato come contenitore dei lavoratori senza tutele è invece un dato conclamato. Ma che ormai sfiorino in 4 milioni e i numeri siano impietosi soprattutto in Trentino Alto Adige (+20,7% di precari dal 2008, nonostante la sua forte autonomia) ed Emilia Romagna (+20,3%, dove per anni il sistema delle cooperative ha cercato di frenare il fenomeno fino allo smottamento di questo ultimo triennio) conferma che il lavoro in Italia è il problema numero uno.

L'ANALISI Chi lavora nel turismo (ristorazione e alberghi), chi nei servizi pubblici e sociali: ecco l'identikit-principe del precario di oggi. Va da sé che anche altre categorie professionali non siano esenti da fenomeni di mancanza di tutele e di “progettualità contrattuale”. Ma – riporta uno studio della Cgia di Mestre (l'associazione artigiani piccole imprese) – nella ristorazione è precario oltre un lavoratore su tre (il 35,5%, anche se il dato va depurato della forte stagionalità di questo particolare comparto), come nei servizi sociali e alla persona (il 33,4% e qui il preoccupante stato dei conti pubblici influisce pesantemente), mentre nell'agricoltura sono “precari” 28 lavoratori su 100.

FORMAZIONE E RETRIBUZIONE Dice Giuseppe Bortolussi, segretario Cgia, che il motivo di principale criticità è il basso livello di studio: «sono coloro che rischiano maggiormente di essere espulsi dal mercato del lavoro (oltre il 38% dei precari ha solo la licenza media, ndr.) perché nella stragrande maggioranza dei casi svolgono mansioni pesanti dal punto di vista fisico». Quelli che gli economisti definirebbero “labour intensive”, non mestieri ad alto valore aggiunto, quindi più a rischio, data la concorrenza a livello globale e i fenomeni migratori che essa comporta. Ma precario è anche sinonimo di bassa retribuzione: tra gli under 35 è mediamente pari a 1.068 euro, inferiore di circa il 25% rispetto alla retribuzione di chi ha un contratto stabile e a tempo indeterminato.

QUESTIONE MERIDIONALE Da Salvemini in poi in tanti si sono interrogati sul ritardo economico e produttivo delle regioni del centro-Sud. Logico che ciò si traduca anche in “tensione occupazionale” e il precariato diventa la norma, non l'eccezione. Sono oltre 2,3 milioni i lavoratori senza stabilità e tutele (il 56% del dato nazionale) tra Campania, Calabria, Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna. Ma qui un dato sembra andare contro-corrente: scrive la Cgia di Mestre che i precari sono diminuiti in queste regioni in media del 4% dal 2008. Un paradossale virtuosismo? Non proprio, spiega un report di Confartigianato, perché «il tasso di inattività nelle regioni meridionali – nella fascia di popolazione compresa tra i 25 e i 54 anni – è schizzato quasi al 20%». In altri termini un adulto su cinque nel Mezzogiorno è senza alcun lavoro, con punte del 43,3% in Campania, del 40,7% in Calabria e del 38,7% in Sicilia. Come dire: i precari sono sì diminuiti, ma perché ora sono disoccupati.

Fabio Savelli
09 aprile 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA

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