Succede che, dopo aver scritto cinque biografie storiche e tre romanzi, fatto la giornalista, lavorato nel mondo dell’arte e archiviato tre matrimoni – l'ultimo con il compositore italiano Nicola Moro, da cui è nata Ottavia, 10 anni – il successo ti catapulti in una nuova dimensione. È il momento che inseguono in molti e raggiungono in pochi: Lisa Hilton, nata a Liverpool 41 anni fa, ce l’ha fatta con un colpo da Maestra. Dopo due rifiuti, un nuovo agente ha letto d'un fiato il manoscritto e staccato un assegno da un milione di dollari.
Un lancio internazionale (già 38 le edizioni) per il primo volume di una trilogia che sarà un film di Hollywood, ma che prima diventerà un caso: da una parte quelli che non lo lasceranno fino all’ultima pagina, dall’altra quelli che, scandalizzati, lo metteranno giù.
Divide anche lei: troppo bella, troppo bionda, troppo intelligente (si può esserlo troppo?) per essere credibile. Ha un asciutto senso dell’umorismo, la battuta veloce, pensieri affascinanti (laurea a Oxford e solide letture), è disinibita e sexy, a partire dalla voce. Avvolta in una nuvola di tuberosa (Carnal Flower), è la donna che gli uomini trovano irresistibile e che le donne temono. È amica di grandi storiche come Antonia Fraser e Kate Williams, ma deve combattere le malelingue che le attribuiscono amanti famosi. All’invidia è abituata da sempre. Lisa non è Judith Rashleigh, la protagonista di Maestra, ma sicuramente c’è molto di più di lei in questo libro di quanto sia disposta ad ammettere.
Intanto, la trama. Ragazza di Liverpool appassionata d’arte cerca la sua strada in una galleria, finisce in un club per uomini che bevono champagne da migliaia di sterline, scopre una truffa legata a un quadro falso. Da lì inizia un viaggio che la porterà in Costa Azzurra e a Portofino, a Roma e in Svizzera, per finire a Venezia. Passando per qualche omicidio, eseguito con efficienza impensabile, e qualche orgia, frequentata disinvoltamente e raccontata con precisione anatomica.
Da dove nasce Judith?
«Da due manoscritti rifiutati. Anni fa, il mio agente mi chiese di scrivere qualcosa di erotico, salvo poi definirlo disgustoso e invitarmi a tornare al mio libro su Elisabetta I – una biografia, il genere che secondo lui era la mia specialità. Poi, avendo lavorato in passato in una casa d’aste, provai ad ambientare un romanzo in quel mondo. Una storia esile, tipo “Bridget Jones va da Sotheby's”. Ma c’era la storia di un falso Stubbs, che poi è entrata in Maestra. Quei due fallimenti hanno partorito Judith. Volevo un thriller con una donna originale, capace di essere violenta. Una sociopatica, però appassionata di bellezza e di arte. Nel film vorrei che fosse interpretata da una sconosciuta. Gli uomini invece dovranno essere superstar, tipo Clooney o Pitt. E solo lei sopravviverà».
Molti hanno accostato il romanzo a 50 sfumature di grigio. Non ricorda invece Millennium, o Vanity Fair di Thackeray?
«Trovo il paragone con 50 sfumature pigro. Anastasia è una romantica cenerentola, una ragazza passiva che si innamora di un uomo ricco e potente e riesce a cambiarlo: il sogno di tutte le donne. La mia invece non è una storia d’amore e, soprattutto, Judith non è una verginella. Assomiglia di più alla Lisbeth Salander di Millennium, che però è stata traumatizzata sessualmente e cerca vendetta, mentre Judith è un’arrampicatrice. In questo è molto simile alla Becky Sharp di Vanity Fair. Come lei reagisce alle circostanze della vita, a un mondo che la vorrebbe debole»
Come si è documentata per descrivere il mondo delle orge?
«Sono andata a vedere, e per fortuna l’ho fatto, perché avevo pregiudizi, immaginavo un ambiente squallido. Invece sono andata con un amico, a Parigi, e mi sono trovata in un luogo elegante, tipo bar di hotel, con gente ben vestita. Non c’è nulla di scioccante, sono adulti consenzienti. E tutto ruota intorno alla donna: il potere è suo».
Quando si parla di sesso, lei cita sempre il potere.
«Il sesso è potere, e le donne sanno che cosa intendo, anche se non ne parlano quasi mai. In quel sex club mi ha colpito una ragazza distesa su un letto, circondata da quattro uomini che la toccavano. L’ho trovata magnifica, perfettamente a suo agio. Mi sono ispirata a quell’immagine per descrivere Judith, perché è il piacere a guidarla: è il sesso il momento in cui si sente realizzata».
Un’autrice donna che non parla di amore, di emozioni.
«I sociopatici non reagiscono come tutti gli altri: dopo aver scritto mi sono documentata, e devo dire che il personaggio di Judith rientra perfettamente nella categoria. Il fortissimo senso della meritocrazia, la rabbia che si scatena davanti alle ingiustizie, la libido elevata, gli occhi che si muovono come quelli degli animali predatori. E la reazione alla paura: i sociopatici la trovano eccitante».
C’è una morale che diventa immorale: se vuoi arrivare in alto devi rompere le regole.
«Nell’Inghilterra ottocentesca di Vanity Fair, Becky Sharp non ha fortune, diritti di nascita, conoscenze: il suo solo potere è se stessa, il suo aspetto, la sua intelligenza. In un contesto diverso, vale anche per Judith. C’è una critica sociale nel libro, e non riguarda solo l’Inghilterra. In Italia, in Francia, negli Stati Uniti, la classe sociale è tuttora un problema. Se hai 25 anni e ottimi studi, ma ti mancano i soldi e il network, difficile andare in mondi, come quello dell’arte, dove regna il nepotismo: pensi alle stagiste che devono lavorare senza stipendio e vivere in città costose. In Francia c’è un libro, Fils et filles de…, pubblicato negli anni ’70. È appena uscita una nuova edizione: i cognomi sono gli stessi».
Lei cita l’accento giusto e il vestito giusto.
«Può essere il gioiello, o l’orologio. Ma se hai una cosa fuori posto, “loro” sanno. “Loro” non devono fare lo sforzo di dimostrare nulla. Io, più che essere femminista, critico i pregiudizi di classe».
Da ragazzina, a scuola, Judith è stata vittima di bullismo, e ne ha ricavato una capacità di sopportazione superiore alla media. Perché un passato così?
«Questa è l’unica vera parte autobiografica. Dai 14 ai 16 anni smisi di andare a scuola. Ero “strana”, avevo idee diverse, ero troppo brava negli studi e, soprattutto, reagivo al bullismo con l’orgoglio. Mi facevano gli occhi neri, mi tiravano i capelli, mi sbattevano la testa contro il muro. È stato molto difficile rivivere quelle emozioni negative. Ma volevo che per Judith diventassero fonte di forza».
Nel suo romanzo, gli uomini pagano per sentirsi ancora sessualmente interessanti, e le ventenni fanno orge. Esiste davvero, questa realtà?
«Abbiamo vissuto una rivoluzione sessuale più profonda di quella degli anni Sessanta. Oggi la pornografia è disponibile ovunque nel mondo, a tutte le ore, e ci sono app, come Tinder, che ti permettono di trovare un amante occasionale in pochi minuti. È la cultura dell’abbordaggio facile, la hook up culture, che agli uomini di una certa età fa paura. I cinquantenni di oggi, più che il sesso, pagano l’illusione di essere desiderati. I più giovani – ovviamente generalizzo – sono meno interessati all’amore, si concentrano sul sesso, vivono in un mondo più fluido, anche negli orientamenti. Il divario generazionale si sente sempre di più».
Le donne hanno ancora bisogno di un uomo per emergere?
«Non necessariamente, ma devono gestire l’odio tra donne, la cultura della critica, che è tipicamente femminile. Apri una rivista e trovi la cellulite di Cameron Diaz, l’altra attrice ingrassata, l’altra ancora con un vestito che non le sta bene. C’è un sistema che da una parte promuove la nostra emancipazione, dall’altra ci sminuisce. Le sembra normale che io sappia di più del culo di Kate Moss che dell’economia cinese? Se noi donne sprecassimo meno tempo a criticarci a vicenda, avremmo più energia e più sicurezza»
Scrive anche che gli uomini italiani non brillano per rispetto.
«A volte lo vedi nelle piccole cose. Prendi la storia del “colpo d’aria”, che esiste solo da voi. Mi fa ridere che, dopo aver fatto l’amore, si mettano la T-shirt: non è sexy per niente. Scaldati sul mio corpo. E, soprattutto, non mi parlare della mamma…».
Si è documentata bene sul sesso: se mangiamo lamponi, scrive, miglioriamo il nostro «sapore».
«L’ho scoperto in un libro francese dell’Ottocento. Una specie di manuale per cortigiane, pieno di consigli».
Per esempio?
«Per prepararsi a un incontro, facevano il bagno e pensavano all’uomo dei loro desideri. Si toccavano, e si strofinavano gli umori dietro alle orecchie. Poi mettevano il profumo. Funziona: parlo per esperienza».
(Si ringrazia per l'ospitalità l'Hotel Manin di Milano)